Marco Di Mauro
Avanti.it
Una cosa va detta: stavolta si sono impegnati. Mesi di indagini per rintracciare gli indirizzi IP dai profili Telegram e aggirare le VPN da parte degli investigatori del Centro Operativo per la Sicurezza Cibernetica di Genova, Brescia, Verona e Matera, coordinati dal Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni di Roma e supportati dalle Digos di Brescia, Verona e Matera, hanno portato ad acciuffare finalmente i pericolosi criminali del gruppo ViVi. Peccato non abbiano potuto arrestarli, potendo limitarsi soltanto a denunciare due persone – i “capi” (quando arrestano qualcuno, è sempre il capo, e i guerrieri ViVi hanno prontamente smentito la notizia) del movimento secondo i media di regime – e tornare a casa, e il motivo è semplice: questi ragazzi non hanno fatto niente. Eppure, le loro abitazioni sono state perquisite, così come i loro luoghi di lavoro, fino ad arrivare a un maneggio di Brescia dove, a detta degli inquirenti, i pericolosi ViVi erano soliti riunirsi e pianificare i loro criminalissimi atti. Ciliegina sulla torta del terrorismo mediatico e della calunnia orchestrata dai media di regime, sono stati rinvenuti addirittura sei fucili durante queste perquisizioni. Che fossero regolarmente denunciati e che i ragazzi non avessero mai inneggiato alla violenza sui propri canali, è un vero peccato.
Ma cosa ha portato a scomodare tutti questi poliziotti, e lo stato a spendere tutti questi soldi dei contribuenti per arrivare a denunciare due persone che non hanno fatto niente? Semplice: i guerrieri ViVi, tra i più attivi contro la dittatura sanitaria e il nazismo farmaceutico, hanno compiuto azioni davvero eclatanti negli ultimi anni. Inventato un efficacissimo e inedito sistema di comunicazione e reclutamento via Telegram, per cui si entrava nel gruppo attraverso varie fasi di apprendimento e livelli di attivismo, hanno iniziato a farsi conoscere tappezzando gli hub vaccinali, Asl, ospedali, sedi dell’ordine dei medici, scuole, sedi sindacali e di giornali, con scritte che denunciavano la discriminazione sanitaria e la pericolosità dei farmaci che lo stato obbligava a somministrare – che, ricordiamolo, hanno mietuto, stando alle prime stime, centinaia di migliaia di vittime solo in Italia, tra morti e invalidi permanenti – per poi iniziare a fare mail bombing o chat bombing contro i profili social di politici e personaggi legati alla strage sanitaria, fino a hackerare il consiglio comunale di Trieste, quando irruppero durante la seduta e iniziarono a scrivere frasi di denuncia, obbligando il sindaco a interrompere l’assemblea. Attivi soprattutto nell’Italia settentrionale, la loro creatività ha continuato a esprimersi in forme inedite, quando hanno iniziato a tappezzare le città di manifesti – di cui era stato regolarmente acquistato lo spazio di affissione – con simboli incomprensibili che poi, uniti con lo spray dagli attivisti, divenivano scritte di denuncia. La creatività e lo spirito di libertà battagliero dei guerrieri ViVi, che diversamente da tutti gli altri movimenti No Green Pass effettuavano azioni concrete e coinvolgevano i più giovani, hanno fin da subito fatto paura al regime sanitario italiano, che ha sguinzagliato uno stuolo di cani da guardia contro questi resistenti, giungendo già l’anno scorso a denunciare 24 persone. Adesso, oltre alle armi, dovranno fare un ampio sforzo per cercare di punire adeguatamente i “capi”, basandosi le denunce sull’essere costoro promotori del sodalizio nell’ambito di un procedimento penale per associazione segreta e istigazione all’interruzione di un servizio di pubblica necessità. In poche parole, hanno imbrattato gli hub vaccinali e interrotto per qualche ora la strage di stato. Per non parlare dei commenti “violenti” postati ripetutamente dai guerriglieri sui profili dei sostenitori della campagna vaccinale, dell’identità digitale, delle bufale sul riscaldamento globale, della pericolosissima tecnologia 5G. Questo basta per giustificare l’annunciato oscuramento dei canali di comunicazione del gruppo, già ostracizzato dalla massima parte della cosiddetta libera informazione, e che così subirebbe un duro colpo, in quanto la comunicazione è una delle armi più forti nella battaglia contro il globalismo transumanista.
Bisogna dare l’esempio, e il braccio violento della legge, quello che utilizza il 41 bis per gli anarchici dopo averlo sdoganato con i mafiosi, si abbatte anche sul cyberspazio: la repressione non conosce confini, e presto lo stato di polizia – come ha già dimostrato con il canale Telegram ‘Basta Dittatura’ e che in Germania ha portato all’oscuramento di più di settanta canali di libera informazione – pianterà i suoi paletti su quel che resta del libero internet. Loro reprimeranno, e i media gli costruiranno le prove, proprio come sta avvenendo con i ViVi, che – diversamente da tante realtà che hanno solo sfruttato il dramma sociale e sanitario degli ultimi due anni per costruirsi una carriera politica – hanno combattuto davvero, e per questo il regime si accanisce su di loro come ha fatto in tutte le occasioni in cui la resistenza stava per assumere contorni seri, come nelle piazze di Trieste e Milano. Perché la resistenza vera fa paura.
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