Marco Di Mauro
Avanti.it
I tre scafisti del barcone naufragato a Crotone hanno dichiarato, secondo la procura, che i 180 migranti presenti sull’imbarcazione – di cui solo 79 hanno raggiungo la riva – gli avevano corrisposto 8mila euro a testa. In seguito alle cosiddette ‘primavere arabe’ e alla destabilizzazione della Libia, il business dell’emigrazione illegale è proliferato in modo incontrollato nel Mediterraneo. Si tratta di un giro d’affari, basato in massima parte nella Tripolitania occupata dalle milizie ivi insediate dalla NATO dopo l’assassinio di Gheddafi, che coinvolge mafie e milizie africane e i paesi NATO e la cui merce sono i neri africani, un numero colossale di cui quelli che finiscono in mare sono solo una piccola parte. Tutto si regge sulla costruzione, da parte di svariate ong, di un imponente apparato mediatico che ha la funzione di coprire la vera natura di questa nuova tratta degli schiavi nel continente nero e di favorirne l’immigrazione illegale in Europa; altre ong intanto aiutano gli scafisti a far arrivare nel Vecchio Continente quei pochissimi che bastano a mantenere intatta la narrazione, e convincere altri schiavi a partire. È la dura e sconvolgente realtà svelata, dati e documenti alla mano, ne L’Urlo di Michelangelo Severgnini (Roma, l’Antidiplomatico, 2022), saggio profondamente inattuale che raccoglie e amplia il materiale dell’omonimo film uscito nel 2020, che smonta pezzo per pezzo la narrazione del Vangelo secondo Soros per cui scappare dall’Africa è un diritto che va garantito a suon di milioni, e i migranti diventano degni di essere salvati solo quando rischiano di affogare su un gommone sgonfio in mare aperto. Chi ce li mette su quel gommone, come sono arrivati fin là e soprattutto se migrare fosse la loro volontà, non interessa a nessuno. Anzi: è un tabù di cui non si può e non si deve parlare. A garantire il silenzio, la solita rete di ong e associazioni – la maggioranza delle quali facenti capo al solito Soros – che sotto la facciata del buonismo stanno consentendo, collaborando e foraggiando uno scellerato sistema criminale per cui da più di un decennio centinaia di migliaia di disperati vengono prelevati con l’inganno dal proprio paese per finire sequestrati, torturati e ridotti in schiavitù, mentre una piccola parte viene sbattuta in mare su gommoni sgonfi per fare la fine dei cadaveri di Crotone, quando non c’è stato un accordo con una delle ong complici. Tutto questo non si può e non si deve dire. Per questo, dopo il vergognoso episodio in cui personaggi vicini alle ong avevano impedito la proiezione de L’Urlo il 24 novembre scorso a Napoli, il partito dei CARC e la redazione di Avanti.it ne hanno organizzata una nuova nella cornice di GalleRi Art, sede partenopea dei Comitati, domenica 26 febbraio, invitando per l’occasione il regista. Lo abbiamo raggiunto per fargli alcune domande sulla sua opera e sulla battaglia che sta portando avanti.
Michelangelo Severgnini, a quanto pare l’episodio di squadrismo avvenuto a Napoli è stato soltanto il segnale di qualcosa di ben più grave che si profila all’orizzonte. La stampa di regime, su tutti il Corriere, già ti accusa di montaggi artefatti e di non aver chiesto la liberatoria ai soggetti intervistati. Puoi raccontarci nel dettaglio cosa sta succedendo?
Nel caso del Corriere della Sera si è trattato di un articolo a firma di Davide Ferrario uscito sulle pagine locali di Torino lo scorso dicembre, nel quale il nostro, pur senza aver visto il film, si fa tramite citando (senza fare nomi) una serie di articoli diffamatori. In pratica in questo articolo un collega, anziché schierarsi contro la censura, sostiene che se L’Urlo viene censurato, un motivo ci sarà. La cosa formidabile è che L’Urlo sta facendo cadere le maschere. Quella che loro chiamano “la società aperta” è di fatto una prigione buonista e gli intellettuali di sinistra sono i suoi scagnozzi.
Hai ricevuto anche attacchi di altro tipo?
Gli attacchi sono in rapporto proporzionale alla notorietà che sempre più sta acquisendo il film. Da quando ho iniziato a girare tutta Italia con L’Urlo, gli attacchi si sono moltiplicati esponenzialmente. I protagonisti del film in questi ultimi tre mesi sono stati raggiunti da telefonate anonime e hanno ricevuto proposte economiche per ritrattare quello che dicono nel film e denunciarmi. Mi hanno riferito che nel momento in cui hanno opposto un rifiuto sono stati velatamente minacciati. Altri dei migranti-schiavi di cui riporto la testimonianza sono stati avvicinati da avvocati italiani per conto di associazioni legate all’ambiente dell’emigrazione. Con altri ancora è stata messa in atto un’opera di persuasione, proponendogli che se mi portassero in tribunale non solo avrebbero tutte le spese legali pagate, ma anche qualcosa in più per sé. Non temo nulla in quanto l’impianto del mio film è legalmente ineccepibile, tuttavia a loro interessa diffondere a livello nazionale la notizia che un migrante protagonista de L’Urlo sta portando in tribunale il regista per aver manipolato a suo arbitrio il materiale che lo riguarda. Questo porterebbe enorme vantaggio alle ong, perché i processi sono lunghi mentre l’effetto delle notizie è immediato, e stanno lavorando per assestare colpi alla credibilità mia e del materiale raccolto in questi anni. Chiaramente il problema non è questo materiale in sé: il film era pronto già un anno e mezzo fa. Il problema è che questo materiale sta entrando in contatto con il pubblico, soprattutto con il loro sostenitori e sta facendo scempio delle loro narrazioni fiabesche.
E questa è solo l’extrema ratio di coloro che stanno cercando di boicottare L’Urlo da ben prima della sua uscita.
Come racconto nel libro, tra il 2018 e il 2019, agli albori di questa ricerca, diverse figure del mondo immigrazionista mi hanno contattato, proponendo soldi e tappeti rossi (visto che sono un regista) se avessi estromesso dal mio lavoro alcuni contenuti scomodi sollevati dagli stessi migranti-schiavi in Libia. Tra questi, il fatto che la maggior parte di loro chieda di tornare a casa e il fatto che chi si vuole imbarcare, si informa via internet attraverso i siti delle ong. Io quei soldi li ho rifiutati e alle minacce non ho risposto, tirando dritto in nome della verità. Altri hanno fatto altre scelte.
L’Urlo dimostra attraverso la voce degli stessi migranti che il fenomeno migratorio così come lo conosciamo non esiste, ma è una tratta degli schiavi gestita dalle mafie africane in combutta con gli occupanti illegittimi della Tripolitania sostenuti dalla NATO. In questo contesto le ong hanno un ruolo preciso e importantissimo: potresti illustrarcelo?
Nel film L’Urlo attribuisco alle ong, sulla base delle informazioni da me raccolte, il compito di fare distrazione di massa. E anche in maniera sottile. Un esempio: quando le ong lanciano le campagne contro “gli accordi con la Libia”, il vero obiettivo non è condannare quegli accordi (indifendibili, per altro), ma far credere che gli interlocutori libici del governo italiano siano il governo libico. Non è così, quello di Tripoli è un governo illegittimo e coloniale che controlla solo il 20% di Libia, Tripoli e dintorni appunto. Usando l’espressione “accordi con la Libia” di fatto si ha come risultato quello di promuovere dei gruppi armati a rappresentanza di tutto il Paese e si declassano le legittime autorità libiche a poco più di un’assemblea di condominio. Questa distrazione di massa è puro neo-colonialismo, perché impedisce di vedere e denunciare le vere cause. Tuttavia, alcuni migranti-schiavi in Libia si sono spinti oltre, attribuendo alle ong il ruolo di esca, perché inculcano ai migranti-schiavi l’idea che ci sarà un rapido passaggio verso l’Europa e verso il paradiso. In realtà, solo 1 su 20 dei migranti-schiavi in trappola in Libia raggiunge l’Italia, gli altri restano indietro, in Tripolitania, schiavi a disposizione delle milizie. Quindi l’Europa per loro non è più una destinazione, è un’esca, che li attrae in Libia e lì la maggior parte di loro rimane in trappola.
Dunque la diffusione che la tua opera sta avendo è un concreto ostacolo al progetto globalista nel Mediterraneo. Ma anche l’ideologia della migrazione come liberazione crolla dinanzi alla viva voce degli schiavi subsahariani tenuti prigionieri in Tripolitania: nel libro smonti coi fatti le testi sostenute negli studi di Maurice Stierl, finanziati da Open Society di George Soros, sui quali si fonda tale ideologia. Perché la sinistra occidentale non riesce ad accettare che un migrante sia stato adescato con l’inganno e se ne voglia tornare a casa propria?
L’idea della migrazione come liberazione è un concetto tossico introdotto da intellettuali (professori, scrittori, artisti) che nell’ultimo ventennio hanno lavorato al soldo di agenzie straniere. Sono gli stessi migranti-schiavi in Libia a smontarlo. Ora si risentono del fatto che io sia in grado di raccogliere il loro pensiero, ma c’è poco da fare, quattro anni di messaggi vocali raccolti dai migranti-schiavi in Libia (decine di ore di messaggi inviati da centinaia di persone) rappresentano un materiale inequivocabile. La sinistra occidentale non accetta che un migrante-schiavo si penta della scelta e chieda dalla Libia di essere riportato a casa. Non lo accetta perché altrimenti dovrebbe accollarsi parte della responsabilità del fatto che quei ragazzi si trovino in schiavitù (giacché nessuno li ha informati correttamente di quello cui sarebbero andati incontro), al contrario hanno propagandato l’idea che il lieto fine fosse a disposizione per tutti.
Il capitolo su Stierl non è l’unico passo, tra libro e film, in cui compare la Open Society di George Soros.
Ti dirò di più: la Open Society, tramite intermediari, mi ha proposto soldi, che ho rifiutato naturalmente, per impedire che il mio lavoro vedesse la luce.
La sinistra si scaglia contro L’Urlo perché, a dir loro, ammicca alla retorica di destra del trito “aiutiamoli a casa loro”, è davvero così?
Solo chi è vittima di ipnosi può sostenere che le mie posizioni siano vicine alla destra. Io non sono per lo “aiutiamoli a casa loro”, io sono per il “togliamoci dal cazzo”. Come diceva Thomas Sankara, chi ti sfama ti controlla. Noi vogliamo sfamare l’Africa dopo averla affamata. Pretendiamo cioè, sul piano teorico, che lo sfruttatore si faccia carico delle conseguenze dello sfruttamento. Follia. La solidarietà europea è sempre interessata, soprattutto quando finanziata dagli squali del capitalismo di cui sopra.
Eppure, dopo i fatti di Napoli una certa destra in un primo momento sembrava sostenerti, poi è sparita.
Destra e sinistra provano a cavalcare il mio lavoro ormai da 4 anni. Ci sono delle parti di questa ricerca che fanno comodo alla sinistra (la denuncia delle condizioni in cui versano i migranti-schiavi in Tripolitania) e altre che fanno comodo alla destra (le responsabilità delle ong). Entrambe hanno cercato di strumentalizzare le voci dei migranti-schiavi in Libia. Quando non ci sono riuscite, entrambe hanno censurato. In seguito ai fatti del 25 novembre a Napoli, molti esponenti di destra (politici, giornalisti) mi hanno contattato. A tutti loro ho risposto che non faccio pornografia delle conseguenze. Se vogliamo fare qualcosa insieme si comincia con la denuncia del sostegno dell’Italia alle milizie di Tripoli che hanno moltiplicato la migrazione negli ultimi anni. Sono scappati a gambe levate.
Nei tuoi interventi recenti hai più volte denunciato come la definizione “piano Mattei” fosse soltanto un fiocchetto su quello che sarebbe stato, se fosse avvenuto, un finanziamento a schiavisti e ladri di petrolio. Qual è la vera natura dei rapporti tra Tripolitania, Libia e Nato? E l’Italia che ruolo ha?
Sugli accordi firmati dalla Meloni a Tripoli va detta la verità. Buona parte di quegli 8 miliardi non sono soldi dei cittadini italiani (e questa sarebbe la buona notizia). Come sappiamo, solo il 30% dell’Eni ormai è di proprietà dello Stato. Il restante sono soprattutto fondi d’investimento. Gli stessi che stanno speculando sul caro bollette. Inoltre, il sedicente governo di Tripoli non controlla neanche un pozzo, né di petrolio, né di gas, che stanno invece nell’80% di Libia sotto il controllo delle legittime autorità. Infatti hanno dovuto parlare di perforazioni e trivelle davanti a Tripoli, perché il resto del Paese non è a disposizione del sedicente governo di Tripoli, tantomeno della Meloni. In definitiva, questo è un finanziamento bellico alle milizie di Tripoli, è un sostegno concreto che questi fondi di investimento garantiscono alle milizie di Tripoli in una fase di conflitto mondiale. Hanno usato l’Italia, la Meloni e l’Eni come taxi per far arrivare quei soldi a Tripoli all’interno di una cornice presentabile. Ad ogni modo, quegli accordi sono illegali. L’Italia non ne otterrà nulla. Ma l’occupazione della Tripolitania avrebbe la forza necessaria per essere prolungata.
Nel quadro di questa nuova tratta degli schiavi mascherata da migrazione spontanea, come dimostri ne L’Urlo, gli idrocarburi sono un fattore di fondamentale importanza. Puoi illustrarci come?
Il rapporto tra idrocarburi e migrazione ce l’ha spiegato Mustafa Sanalla, ex direttore del NOC (National Oil Corporation, ente pubblico libico per la vendita di idrocarburi). È lui che nel 2018 ci ha spiegato come le milizie di Tripoli saccheggiavano fino al 40% di petrolio libico e lo inviavano illegalmente verso l’Italia e la Turchia. Questo è il motivo per cui le finanziamo da anni, perché occupino militarmente le stanze dei bottoni a Tripoli e dispongano del saccheggio del petrolio libico a nostro vantaggio. Però, essendo gruppi armati, estremisti e criminali, non si fermano al traffico di idrocarburi, ma gestiscono anche tutti gli altri traffici illegali che transitano dalla Tripolitania, tra questi quello della tratta di esseri umani. Sono loro che hanno moltiplicato la migrazione dall’Africa, adescando decine di migliaia di ragazzini africani. A noi che ci sia chi si imbarca dalla Libia poi fa pure comodo: abbiamo la scusa per inviare soldi a Tripoli, dove però non vengono spesi a scopo umanitario, ma utilizzati come denaro fresco dalle milizie. Tutto quello che dico è riportato in un documento ufficiale del sedicente governo di Tripoli pubblicato all’interno del libro L’Urlo.
Rispetto alla distribuzione del film, credi possibile che un altro produttore più coraggioso faccia un’offerta?
Il produttore si sta prendendo grosse responsabilità, impedendo da un paio d’anni la distribuzione del film (il film viene proiettato solo in mia presenza e senza biglietto d’entrata). Al momento non credo che alcuna proposta possa convincerlo a vendere il film, dal momento che in questi due anni ha già rifiutato diverse offerte di distribuzione. Voglio dire, non è una questione economica: è una questione politica. E politicamente conviene un po’ a tutti che il film non venga visto…
In effetti, da quanto ci hai detto, è evidente perché la macchina del fango abbia già iniziato a operare contro di te. Come ritieni che si evolverà la situazione?
Non so come andrà a finire. So che noi siamo sentinelle dell’aurora, quelle che entrano in gioco nel momento più buio della notte, appunto poco prima dell’aurora. Non so se la vedremo. Tuttavia già ne sentiamo il profumo e perciò non possiamo stare zitti.
Il Contadino dice
Molto interessante.
Manca il link, voglio il link, clicco e guardo.
Senza link è una sega a metà;-))
Marco Di Mauro dice
Carissimo Contadino, purtroppo il film non è da nessuna parte, puoi vederlo soltanto in occasioni pubbliche presenziate dal regista, ci sono le date su https://t.me/lurlo_michelangelosevergnini