E pure stavolta sarà lotta dura senza paura. Lo hanno ribadito, ove mai ce ne fosse bisogno, i segretari dei sindacati confederali dopo essere stati “umiliati” dalla Meloni, che li ha invitati a Palazzo Chigi per illustrare loro le norme contenute nel DL lavoro senza averli prima consultati. La premier è stata inoltre accusata di voler sottrarre alla triplice il palcoscenico del Primo Maggio per presentare alla cittadinanza le norme contenute nel decreto: riduzione del cosiddetto “cuneo fiscale”, definizione della già annunciata stretta sul reddito di cittadinanza, espansione dei contratti a termine. CGIL, CISL e UIL hanno contestato il governo nel metodo e nel merito, imputandogli la volontà di precarizzare ulteriormente quel mondo del lavoro già demolito dalle varie riforme a perdere degli ultimi trent’anni, tutte approvate in nome dell’Europa e con il plauso dei sindacati medesimi. E così, la primavera calda è iniziata un po’ a Potenza, dove si è tenuta la manifestazione sindacale nazionale in nome del “riscatto del Sud” e tutto il resto, e un po’ a Roma, dove il tradizionale “concertone” di piazza San Giovanni si è associato alla lotta incombente attraverso i proclami della conduttrice Ambra Angiolini e dei tanti musicisti ribelli che vi hanno partecipato intonando i loro canti di protesta. Una protesta selettiva: a differenza di quell’altro pur da tutti osannato, quello che si permetteva di dire che non ci sono poteri buoni, secondo gli “alternativi” di oggi i poteri buoni ci sono e come, e hanno il volto “rock” di Sua Altissima Eccellenza il Presidente Sergio Mattarella. All’insegna del motto “baciamo le mani, ma anche i piedi”, già nel pomeriggio del Primo Maggio romano era stata l’Orchestraccia, “supergruppo” di attori e cantanti, a invocare il nome del Sommo, uno che è in grado di produrre estasi in chi gli si approssima e pure di far ballare una piazza di giovani: “siamo convinti che Mattarella un paio di date con noi le farebbe volentieri” hanno detto gli orchestrali dell’Orchestraccia al termine della loro esibizione, iniziata nel segno di Mameli e di Mattarella. Ma questa piaggeria gratuita verso il Magnifico fa quasi tenerezza alla luce di quel che è successo in serata, quando sul palco è salito Piero Pelù indossando una maglietta con l’effigie di un Mattarella trasfigurato addirittura in un “punk” , con tanto di appuntita cresta violacea. Secondo Pelù, il canuto capo dello stato, oltre a essere il garante della Costituzione che tutela il lavoro messo a rischio dai governi fascisti, ha altre inaspettate facoltà: “…è rock, esorcizza tutto il male e ci unisce”. Alla piazza ansiosa di mettersi a pogare inneggiando a Sua Altissima Eccellenza, il cantante fiorentino ha regalato El Diablo, uno dei pezzi più noti e “ribelli” dei suoi Litfiba. È opportuno estrapolarne un verso per evidenziare la portata della dedica: tutta la storia è una grassa bugia. La storia recente dei sindacati confederali è tutta un’impalcatura di bugie autoassolutorie: alla lotta per il salario, per i tanto decantati “diritti” e per la salvaguardia dello stato sociale, quelli della triplice hanno anteposto la fedeltà ai diversi “vincoli esterni” che strozzano qualunque parvenza di sovranità, consumando un’irredimibile complicità non tanto con i governi che si sono succeduti, quanto con il Pilota Automatico che tutto sovrintende, ed a suggello di questo processo sono rimaste impresse nell’immaginario le foto della Camusso che si sbellica dalle risate mentre è attovagliata assieme a Mario Monti e di Landini assieme a Draghi dopo il celebre “assalto fascista” alla CGIL dell’ottobre 2021. Quel poco di dignità che ancora restava in qualche recesso del mondo sindacale si è dissolto nel momento in cui i vari Landini e compagnia cantante hanno avallato le disposizioni governative su vaccini, sospensioni, tamponi e quarantene. Oggi, mentre i sindacati francesi riscoprono la loro vocazione mettendosi alla testa di un vasto movimento di opposizione, CGIL, CISL e UIL pagano sontuosi cachet a musici e troiette di regime per esaltare Mattarella, cioè il garante del servaggio verso quell’Europa e quei “mercati” ai quali si deve la demolizione del lavoro in Italia. La folla plaude e addirittura balla. Fra gli sponsor del concertone contro la precarietà c’è stato pure Just Eat, il colosso delle consegne a domicilio e dello sfruttamento. Non poteva esserci inizio migliore per questo maggio italiano.
GR
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