Dopo le elezioni di novembre, il primo ministro israeliano Netanyahu è tornato al potere a capo di un governo che gli analisti considerano il più a destra della storia del paese, e che ha in programma anche una riforma del sistema giudiziario che, se approvata, ridurrebbe drammaticamente i poteri della Corte Suprema in favore della Knesset (il parlamento israeliano).
La controversa riforma del ministro della giustizia Levin permetterebbe al parlamento di annullare una decisione della Corte Suprema con una maggioranza semplice dei voti. In Israele, che non ha una costituzione, la Corte Suprema ha il potere di annullare una legge che ritiene discriminatoria, ma con tale riforma ciò non sarebbe più possibile.
Il leader dell’opposizione Yair Lapid denuncia che la riforma mette a rischio l’intero sistema legale dello stato di Israele. La controversia fondamentale riguarda il fatto che se 61 su 120 membri della Knesset sono sufficienti a ribaltare una decisione della Corte, allora vuol dire che la Corte Suprema diverrebbe inutile e spogliata dei suoi poteri. Inoltre, la maggioranza parlamentare avrebbe anche un potere illimitato.
Il nuovo modello, se approvato, renderebbe il sistema israeliano simile a Ungheria, Polonia e Turchia, facendo crollare le ultime parvenze di democrazia, e accentrerebbero nelle mani di Netanyahu quasi il potere assoluto cui ha sempre ambito. Senza neanche l’ostacolo della Corte Suprema, Netanyahu e i generali potranno proseguire indisturbati la conquista violenta della Palestina. Va infatti ricordato che lo stato sionista è solito violare leggi internazionali e commettere crimini di guerra e violazioni dei diritti umani di vario tipo senza subire pressioni proporzionate, o spesso nessuna pressione, dall’Occidente.
Anno dopo anno ormai appare sempre più evidente come lo stato sionista voluto dall’élite occidentali e dall’alta finanza non sia per nulla uno stato democratico come si è voluto far credere. Ora con la modifica del sistema giuridico cade anche l’ultima maschera.
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