Le dispute politiche ed economiche fra il governo federale dell’Iraq e il governo regionale del Kurdistan, che negli ultimi decenni hanno segnato l’economia del paese, sembrano aver trovato una soluzione. I due governi hanno infatti firmato un accordo per la ripresa delle esportazioni di petrolio nel nord attraverso la Turchia. Il blocco alle esportazioni avvenuto il mese scorso era scaturito da un processo di arbitrato della Camera di commercio internazionale che si era schierata a favore dell’Iraq in merito alla questione delle esportazioni indipendenti dalla regione nord del paese. Il Kurdistan infatti aveva venduto del petrolio alla Turchia in maniera indipendente, aggirando la SOMO, organizzazione statale irachena per il marketing petrolifero che, in base all’accordo stipulato con la Turchia nel 1973, deve sempre fungere da intermediario e provocando così l’ira di Baghdad.
L’accordo stipulato negli scorsi giorni prevede che le entrate petrolifere vengano controllate dal Kurdistan, ma questo agirà in coordinamento con SOMO, secondo quanto riporta una fonte anonima. Le entrate saranno infatti controllabili da parte del governo federale attraverso un apposito conto. L’accordo è stato quindi stipulato da un lato per allentare le tensioni fra le parti e dall’altro per non danneggiare il bilancio statale. “Fermare le esportazioni di petrolio dalla regione danneggia le entrate dell’Iraq” ha affermato il primo ministro iracheno Sudani. “Questo accordo porta entrate tanto necessarie” ha dichiarato invece il primo ministro del governo regionale del Kurdistan Barzani, aggiungendo che esso “crea un’atmosfera positiva e sicura per approvare finalmente la legge nazionale sul petrolio e il gas”. L’accordo è infatti temporaneo fino a che la legge di bilancio non verrà approvata dal parlamento.
I flussi tuttavia non sono al momento ripartiti in quanto gli operatori degli oleodotti non hanno ancora ricevuto le indicazioni per riavviarli e l’Iraq attende aggiornamenti dalla Turchia per procedere. La situazione di stallo, che ha costretto anche le compagnie straniere a fermare la produzione, ha fatto alzare il prezzo del petrolio di quasi 80$ al barile. I curdi, storici alleati degli Stati Uniti per il furto del petrolio siriano, potrebbero essere costretti a smettere di farlo nell’Iraq settentrionale. La palla adesso passa ad Ankara.
Francesca Luchini
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