Marco Di Mauro
Avanti.it
Oggi sono rimbalzate sui media generalisti notizie di un rivolta alla prigione Evin di Teheran, dove stavano avvenendo “pesanti scontri” sulla scia delle proteste che, secondo i deformatori occidentali, starebbero sconvolgendo il paese, mentre i parenti dei detenuti, ovviamente tutti dissidenti politici messi in carcere ingiustamente, gridavano da fuori al perimetro della struttura “morte al dittatore!”; ma stando ai media locali e a voci internazionali davvero imparziali, le cose stanno un po’ diversamente.
Costruito alla fine dell’era Pahlavi iraniana nel 1972 e fino alla fine gestito dal servizio di intelligence dello Scià iraniano, il SAVAK, il carcere di Evin ha continuato la sua attività sotto la Repubblica Islamica, famoso per esservi detenuti molti prigionieri appartenenti al gruppo terrorista con sede in Albania, finanziato e appoggiato da USA e Israele, il MeK, e altri individui classificati come prigionieri politici come Ali Ashtari nel giugno 2008 e il giornalista Hossein Derakhshan nel novembre dello stesso anno, entrambi condannati per spionaggio per conto di Tel Aviv. In verità, si è trattato di un incendio originatosi dal magazzino dei vestiti della struttura e poi propagatosi fino a minacciare la vita dei detenuti che hanno scatenato una rivolta. Al momento si registrano otto feriti e nessun morto, ma staremo a vedere i nostri media come la metteranno.
Se si cerca Iran, i risultati forniti dal mai neutrale, mai imparziale algoritmo di Google mostrano un paese ancora in tumulto, preda di rivolte in cui si vedono cadere le statue di Khomeini, a cui il governo non sa rispondere se non aumentando il livello di violenza, diretta sempre verso giovani donne vestite alla foggia occidentale, truccate come occidentali, mostrate nella finzione della propaganda globalista sempre alla testa di queste rivolte.
La verità è ben diversa: nessuna ragazza è stata uccisa dalla polizia, infatti siamo già a tre smentite ufficiali e comprovate da parte del governo iraniano. L’ultima bufala in ordine di tempo è lo stupro di una giovane del Khuzestan, poi smentita dai fatti, mentre il capolavoro è stato la notizia dell’uccisione di una studentessa ad Ardabil, nell’Azerbaijan iraniano, uccisa giovedì scorso durante scontri in un edificiio scolastico: peccato che in Iran giovedì è il giorno settimanale di chiusura delle scuole. Inoltre, le regioni menzionate dell’Azerbaijan iraniano e Khuzestan sono le estremità rispettivamente nord e sud – tra le quali vi sono Kurdistan, Kirmanshah e Ilam – dell’area nord-occidentale del paese, abitata da etnie storicamente ostili allo stato iraniano e da sempre animate da spinte separatiste: è qui che le intelligence anglo-sioniste hanno più facilmente radicato, soprattutto negli storici amici curdi, il loro progetto di rivoluzione colorata iraniana, ed è solo ed esclusivamente qui che stanno continuando le proteste, oggi molto più simili a raid notturni che a rivolte vere e proprie, facendo il minimo sindacale di danni e cagnara sufficiente alla costruzione mediatica occidentale, che può continuare con la menzogna della rivolta delle donne. Solita triste eco quella delle prezzolate celebrità che si tagliano una ciocca di capelli, e delle piazze pro-rivoluzione colorata delle principali città europee.
Il ministro degli esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian all’ultima Conferenza Internazionale sull’Unità Islamica ha puntato, pur non facendo nomi, il dito contro USA e Israele, a suo dire responsabili del tentativo di creazione di una guerra di religione tra sciiti e sunniti a partire dalla morte di Mahsa Amini: “Nelle ultime settimane, partiti stranieri hanno cercato di intervenire nel nostro Paese abusando di una questione interna. Questo mentre il presidente del nostro Paese ha chiamato il padre di Mahsa Amini nelle prime ore dopo la sua morte e lo ha consolato e ha ordinato un’indagine immediata per chiarire la questione” ha evidenziato come il governo abbia fatto distinzione tra le richieste pacifiche, intenzionato ad accoglierle, e atti terroristici e di devastazione: “stiamo assistendo all’introduzione di armi da fuoco in alcune manifestazioni, e queste armi sono state importate dall’estero; non abbiamo tali armi in Iran” queste armi erano presenti per esempio a Zahedan, dove “non c’erano slogan o foto di Mahsa, e un noto gruppo terroristico ha cercato di avviare un conflitto tra sciiti e sunniti, e ne hanno rivendicato la responsabilità. Hanno fatto lo stesso in una parte del Kurdistan, ma l’intuizione dei sunniti, universitari e popolo, ha sventato i loro tentativi”. Ieri sera inoltre, al telefono con Josep Borrell, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE, Amir-Abdollahian è stato chiarissimo: “L’Iran non è un paese per rivoluzioni di velluto o colpi di stato colorati, ma è un porto di stabilità e sicurezza perché la Repubblica islamica gode di un forte sostegno da parte della democrazia e del popolo. I paesi europei dovrebbero avere un approccio realistico alla questione poiché consideriamo un quadro più ampio di cooperazione con l’Unione Europea”. Ma Biden ha fatto l’orecchio del mercante, nuovamente invitando il paese a interrompere le violenze. A quali violenze si riferisce, dato che nel paese ormai è pressoché tornata la calma? Forse a quelle perpetrate in Ucraina dai droni iraniani Shahed-131 e 136, forniti all’esercito russo, o ai nuovissimi Arash specializzati nel neutralizzare la contraerea, ordinati da Mosca a centinaia? Di certo la cooperazione tra la repubblica islamica e il nascente blocco geopolitico dei BRICS si fa sempre più serrata. Nel Field Manual 3-0, la nuova dottrina militare del colosso a stelle e strisce elaborata nel 2017, il generale James McConville, capo di Stato Maggiore della US Army, parla dell’Iran come una minaccia persistente assieme alla Nord Corea. Tuttavia l’importantissimo arsenale nucleare del paese impedisce un attacco diretto, per questo la guerra all’Iran, che è già iniziata, si combatte a colpi di intelligence, con sanzioni, omicidi mirati, sabotaggi e rivoluzioni colorate, ma nonostante i continui colpi, il gigante islamico non crolla.
Maurizio Muscas dice
Grazie al contrappeso del BRICS il mondo non sarà uno zoo USA