In vista delle elezioni dell’anno prossimo, l’entourage di Joe Biden sta facendo le cose in grande. La sua ricandidatura non è ancora ufficializzata, ma sembra questione di tempo: da un lato non ci sono alternative credibili, e dall’altro l’ottuagenario presidente ha macinato, secondo una certa vulgata, un successo dopo l’altro, fra sconfitta del Covid, ripresa economica e guerra indiretta alla Russia. Joe Biden è già oggi il più anziano capo di stato della storia degli Stati Uniti, e qualora prevalesse alle presidenziali del 2024 ed il Signore non lo chiamasse a sé anzitempo, giungerebbe alla fine del secondo mandato alla veneranda età di ottantasei anni. Non basterebbero comunque per il primato di statista più vecchio della storia: senza scomodare gli esotici Paul Biya, novantenne presidente del Camerun (in carica dal 1982) o Mahatir Mohammad, vecchio volpone della politica malese che lasciò il suo ultimo incarico da primo ministro tre anni fa, a novantaquattro anni, il nostro Supremo Giorgio Napolitano dormì per l’ultima volta al Quirinale a ottantanove anni. In ogni caso, l’età sembra l’ultimo dei problemi, nonostante le ormai proverbiali manifestazioni di demenza senile di quello che taluni chiamano “Joe il saggio”: le elezioni di metà mandato sono andate bene per i democratici, il temuto sorpasso repubblicano è stato scongiurato e negli stessi ranghi del partito ha perso quota quell’ala “sinistra” che aveva appoggiato Sanders alle ultime primarie e che avrebbe potuto trovare espressione in candidate “glamour” come Alexandria Ocasio-Cortez. Insomma, quelli che alcuni interpretano come segnali di un’inquietante mancanza di lucidità, per altri sono argute battute di spirito proferite da un simpatico nonnetto. Quest’ultima tendenza è prevalente fra gli americani più giovani, i quali hanno già premiato Biden nel 2020 e i democratici alle elezioni di midterm dell’anno scorso. Tuttavia, secondo i cervelloni che curano la “comunicazione” per conto del nonno più amato d’America, è proprio fra le fasce più acerbe della popolazione che ci sono i più ampi margini di crescita, e così il comitato nazionale democratico, memore delle lezioni del 2016, quando Trump aveva vinto grazie all’egemonia conquistata nei social media, e del 2020, quando era stato solo il “miracolo” del voto postale a scongiurare il bis del ciuffone, ha deciso di puntare sull’arruolamento degli influencer per la campagna del 2024. Appare quantomeno paradossale che la piattaforma sulla quale operano questi novelli pifferai magici sia TikTok, il cui uso è stato di recente inibito a tutti i funzionari governativi americani per ragioni di “sicurezza”, ma tant’è: fra i campioni ingaggiati dallo staff della Casa Bianca vi sono il ventenne studente di scienze politiche Harry Sisson, specializzato in notiziari flash rivolti ai coetanei, la appena più attempata Vivian Tu, ex trader di JP Morgan che s’è messa a fare video di finanza dopo il “burnout” e Daniel Mac, giovane uomo da quasi quattordici milioni di follower il cui piatto forte è rappresentato dalle interviste ai possessori di macchinone. C’è già stato uno State of Union watch party alla Casa Bianca con una ventina di influencer, e presto verrà loro riservata una sala per le riunioni a due passi dall’ufficio presidenziale. Costoro coordineranno una campagna che punta a raggiungere non solo i millennials, ma anche tutti i poco interessati alla politica o quelli che “consumano” le informazioni attraverso le piattaforme social e diffidano dei media tradizionali. Allo scopo saranno assunti migliaia di operatori che diffonderanno la propaganda bideniana negli “ambienti digitali privati”, ovvero in quegli stessi ambienti in cui non è consentita la diffusione di messaggi politici “diretti”, come WhatsApp o TikTok. Questo metodo è già stato adoperato in via sperimentale nelle elezioni dell’anno scorso in Georgia, dove, grazie ad una app elaborata all’uopo, 1481 “ambasciatori” (pagati duecento dollari al dì) hanno raggiunto 67000 elettori di “comunità disinteressate al voto” per invitarli a sostenere il poi rieletto Raphael Warnock. Tutta la faccenda non è ammantata di pseudoidealismo come ci si potrebbe aspettare: per questi influencer che già guadagnano milioni, quello di Biden è un brand come un altro. L’esercito dei pifferai magici è fatto di mercenari per i quali la vita e il marketing sono la stessa cosa. I fatti danno loro ragione: riusciranno pure a rendere cool un uomo che non è presente a se stesso.
GR
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