Marco Di Mauro
Avanti.it
Se il teatro ucraino, salvo sorprese, è ormai deciso – al punto da spingere lo stesso Henry Kissinger a esortare la compagine NATO verso concessioni territoriali alla Russia – non può dirsi lo stesso della guerra mondiale in atto. Già questo maggio appena concluso ha visto infiammarsi lo scenario mediorientale: l’inasprimento in aprile del conflitto arabo-israeliano sulla Spianata delle Moschee ha avuto ripercussioni anche sul confine israeliano con Libano e Siria; le minacce di Hezbollah dal Libano hanno spinto le Israeli Air Forces a compiere raid ad ampio raggio in territorio libanese, cogliendo l’opportunità per attaccare anche le postazioni iraniane nella Siria meridionale. La risposta di Teheran, vuoi per una tattica fabiana vuoi per i problemi di proteste interne contro il governo dovuti alla crisi alimentare, tarda ad arrivare, nonostante un intervento del Mossad abbia ucciso un generale iraniano nella stessa capitale, anche se improvvisamente mezzi iraniani hanno sequestrato due petroliere battenti bandiera greca nel Golfo Persico, dopo il sequestro di una propria nave da parte degli USA.
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Di risposta, la Grecia ha sequestrato un cargo iraniano. Così, l’Iran sonda il terreno per una possibile alleanza con la Turchia, facendo trapelare la possibilità che il consiglio di sicurezza nazionale di Teheran riconosca e avvii relazioni diplomatiche con la repubblica filo-turca di Cipro del Nord, avversa alla filo-israeliana Cipro del Sud. Israele non sta a guardare, perpetrando la sua politica estera aggressiva, e ha avviato l’esercitazione Chariots of Fire, facendo decollare da diverse basi militari 100 velivoli da guerra, in vista di un eventuale – e sempre più probabile – attacco diretto all’Iran.
Dal canto suo, la Turchia di Erdogan ha approfittato dell’escalation nell’area per tornare all’arrembaggio dello scenario siriano riprendendo le incursioni contro i territori curdi, prima in Iraq e poi con maggiore decisione nel Rojava, al nord della Siria. La mossa di Ankara ha ravvivato anche i ribelli filo-turchi, che hanno ripreso le manovre militari. Questa situazione ha spinto la Russia a intervenire, sorvolando in più occasioni con jet militari il nord del paese.
Per comprendere a pieno la situazione, bisogna dare un quadro della attuale divisione dei territori siriani dopo undici anni di guerra civile. Il governo legittimo di Bashar al-Assad, sostenuto dalle truppe di Mosca, controlla la maggior parte del territorio, soprattutto la parte centro-meridionale del paese, tranne due enclave, una al confine con Israele, che ha occupato militarmente il territorio siriano appropriandosi delle alture del Golan, trasformate in piattaforma missilistica contro Libano e Siria; un’altra al confine con Giordania e Iraq, occupata dalle truppe turche insieme ai ribelli anti-Assad, che occupano anche la parte nord-occidentale del paese.
In effetti, tutto il nord del paese è fuori dal controllo di Aleppo, e i confini dello stato riconosciuto dalla comunità internazionale si fermano ad oggi al fiume Eufrate, a nord del quale inizia lo stato curdo del Rojava, sostenuto dagli americani, che ha occupato il territorio dove prima si estendeva lo stato islamico dell’ISIS, creato dalla CIA e dal Mossad sotto il governo Obama per destabilizzare tutta l’area, di cui persistono alcune sacche nella Siria centro-orientale. Il Kurdistan siriano è una continuazione di quello iracheno, che si estende a nord del paese fino alla capitale Erbil, dove sono collocate basi americane e israeliane. Il Rojava è interrotto da un’altra enclave turca al confine nord, e in effetti nei piani di Erdogan c’è proprio la conquista del Rojava e l’espansione dei confini turchi fino all’Eufrate. Questo spiega gli attacchi ripetuti e progressivi dei mesi di aprile-maggio. Le pressioni turche sui villaggi curdi del nord-ovest siriano hanno incontrato soltanto la resistenza dei locali, fino a ieri, quando Erdogan ha annunciato che la Turchia condurrà un’operazione militare a Tal Rifaat e Manbij nel nord della Siria per eliminare le fazioni curde dello YPG e del PKK, e in serata una massiccia esplosione ha annientato un deposito di razzi grad vicino Idlib, proprio nell’enclave dei ribelli filo-turchi a nord-ovest del paese. Si sospettano raid russi, in quanto proprio in quel momento i jet di Mosca erano nei cieli siriani, ma non ci sono state dichiarazioni in merito. Intanto, stamattina le postazioni curde nei villaggi di Tell Tamir, nella stessa zona, sono state oggetto di pesanti bombardamenti da parte dell’esercito turco.
È probabile che la risposta russa non si faccia attendere, anche se il grande assente, gli USA, sta per ora a guardare senza intervenire. Di certo, l’inesorabile declino della complicata egemonia a stelle e strisce sta destabilizzando fortemente lo scenario mediorientale, oramai sempre più una pentola a pressione, che rischia di scoppiare ogni giorno di più. Due passi a est c’è il teatro del Karabakh Superiore, dove nuovamente si fronteggiano Turchia e Russia proprio al confine con Teheran. Se l’Iraq è terra di nessuno e la Siria una polveriera, la comune aggressività di Ankara e Tel Aviv – che proprio a inizio marzo hanno aperto un dialogo – potrebbe aprire proprio in Iran un nuovo campo di battaglia della Terza guerra mondiale.
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