Da due mesi a questa parte tutti i sondaggi, strumento di condizionamento preelettorale per eccellenza, danno il PD in costante ascesa nelle preferenze degli italiani, salvo la flessione degli ultimi giorni causata dall’eccessivo bellicismo russofobo, fino a giocarsi il ruolo di partito più amato con i meloniani di Fratelli d’Italia, dopo il “sorpasso a destra” di questi ultimi a danno della declinante Lega. Tutto questo è più che plausibile, nonostante gli innumerevoli fallimenti e tradimenti, i dietrofront, i contrordini e i travestimenti di cui si è resa protagonista in questi anni la “classe dirigente” del Partito Democratico, un’accolita di maggiordomi, yuppie, burocrati e raccomandati. Alle elezioni comunali dell’anno scorso, infatti, il PD si è ripreso di prepotenza quelle amministrazioni che, a causa di un’irripetibile congiuntura storica, gli erano sfuggite nella tornata precedente: con le larghe vittorie di Roma, Napoli e Torino (oltre alla conferma di Sala a Milano, ormai roccaforte del partito), cioè in realtà dove, fra mafie capitali e crisi della munnezza, il PD si era coperto d’irredimibile infamia, si chiude un ciclo e si torna inesorabilmente al punto di partenza, con il partito-regime che si riprende il ruolo di cinghia di trasmissione del Potere anche negli enti locali.Insomma, dopo che mille volte ne è stata annunciata la morte, il PD è (ancora) vivo e lotta contro di noi.
Dal 2007, cioè da quando esiste come tale questo frankenstein politologico, la cui nascita è storicamente da associarsi all’antiberlusconismo sulla superficie delle cose, al docile servaggio verso i potentati extra e sovranazionali nella loro profondità, il Partito Democratico è sempre stato nella maggioranza di governo salvo che in due parentesi, quella del Berlusconi IV, dal maggio 2008 al novembre 2011, a cui successe Monti nel primo dei golpe di palazzo che si sarebbero succeduti, e quella del Conte I, dal giugno 2018 all’agosto dell’anno successivo, il “Salvimaio” che pareva aver messo all’angolo il partito-regime. In totale, dieci anni al governo senza aver mai vinto le elezioni, se non in occasione della “mezza vittoria” di Bersani del 2013; in questo decennio, il PD ha costruito maggioranze con transfughi del centrodestra (quell’NCD di Angelino Alfano avvolto, giustamente, nell’oblio assoluto), con Forza Italia, con il Movimento 5 Stelle e alla fine pure con la Lega: ha dato cioè vita, obbedendo alle direttive che venivano da Washington, da Bruxelles, da Berlino e da Parigi, a maggioranze con tutti coloro che avevano recitato il ruolo di acerrimi nemici nel teatrino degli anni passati, quelli contro i quali si facevano giuramenti, si lanciavano ultimatum, si sobillavano mute di cani pavloviani.
Eppure, il PD è ancora lì, inossidabile perno del sistema intorno al quale ogni maggioranza parlamentare dovrà prendere corpo, a prescindere dall’esito elettorale. La resilienza di questo putrescente organismo politico viene associata allo zoccolo duro di elettori vegliardi e trinariciuti, alle clientele legate al mondo cooperativo, all’incistamento dei suoi esponenti in tutti i gangli dello Stato e del parastato. In realtà il Partito Democratico è stato capace, dopo aver voltato le spalle programmaticamente e definitivamente alle masse popolari, di crearsi un nuovo blocchetto sociale, fatto di benestanti delle ZTL cittadine, perbenisti postdemocristiani, dipendenti pubblici appartenenti alla sfera del “ceto medio semicolto” (cit. Costanzo Preve), alti e bassi papaveri della burocrazia con annesse corti dei miracoli, frange di mondo giovanile particolarmente sensibili ai richiami massmediatici. Il fatto che il PD ottenga consensi maggiori ai Parioli rispetto a Tor Bella Monaca è un dato ormai sociologicamente acquisito. Esso è, a tutti gli effetti, “il partito di chi sta bene”. L’egemonia di cui gode nel mondo dell’informazione, nell’editoria e nelle Università lo tiene a galla anche quando infuria la tempesta del “populismo”. Le sue sorti sono indissolubilmente legate a quelle del regime di cui funge da principale articolazione politica. Allo stato attuale delle cose, non è che un’agenzia di reclutamento di maggiordomi d’alto bordo. Il fatto che rappresenti, nel sentire comune, la principale forza della “sinistra” italiana, attesta, oltre al degrado del dibattito pubblico, la definitiva eclissi di questa categoria politica, il cui utilizzo sarà nel futuro impedito in virtù dello scempio che ne è stato fatto.
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