Giuseppe Russo
Avanti.it
Un docente di storia dell’arte in servizio presso un liceo romano è finito alla gogna (mediatica, per adesso) dopo essersi reso protagonista di una discriminazione “transfobica” a danno di un suo studente. Nella giornata di martedì scorso il professore, consegnando alla classe degli elaborati con voti e correzioni, ha sbarrato il nome, declinato al maschile, di uno studente che aveva scelto di avvalersi della “carriera alias”, ovvero della possibilità di cambiare genere e identità anagrafica nell’ambito della burocrazia scolastica prima di aver compiuto la maggiore età e prima che termini l’iter giuridico per vedersi riconosciuta la “transizione” da tutti gli organi dello stato. Il ragazzo aveva così ottenuto il diritto di cambiare nome sul registro elettronico e di firmare i compiti in classe attraverso il suo “alias”. L’insegnante ha replicato alle prime rimostranze del discriminato ribadendo il suo punto di vista: “Davanti a me ho una donna, non posso riferirmi a te diversamente, non mi interessa il regolamento”. Il diverbio è poi proseguito nell’ufficio della vicepreside, dove il prof avrebbe rincarato la dose. Nelle ore immediatamente successive, i compagni del ragazzo si sono rivolti alla Rete degli Studenti Medi, l’associazione studentesca più rappresentativa nelle scuole “bene” della capitale, i cui esponenti hanno poi inoltrato la segnalazione al Gay Center tramite la Gay Help Line, i vertici della quale hanno infine prodotto un infuocato comunicato stampa e segnalato l’accaduto al ministero, dove si è da poco insediato il leghista Giuseppe Valditara. Da lì è partita la gogna per il malcapitato docente, manifestatasi attraverso una serie di titoli fotocopia che menzionano, oltre al misfatto transfobico, la “rivolta” che avrebbe animato il corpo studentesco e gli stessi genitori, i quali avrebbero chiesto “provvedimenti disciplinari” per il professore discriminatore. Dopo aver cavalcato l’algoritmo antitransfobico, i giornali sono passati agli “approfondimenti”, ed è venuto fuori che lo sciagurato docente avrebbe pure detto “Ora vedrete voi che succede col governo di destra…”, mentre la vittima, intervistata con due “alias” maschili diversi da Repubblica e dal Corriere, ha pure annunciato che farà ricorso contro il “sei e mezzo” ottenuto nella verifica della discordia, dato che ha diritto a un “piano educativo individualizzato” essendo seguito da un insegnante di sostegno proprio per la sua “disforia di genere”. Il ragazzo, insomma, nonostante la giovane età, è uno pratico delle cose di questo mondo. Non a caso, nell’intervista concessa a Repubblica come “Marco”, dice pure che “è positiva anche quest’attenzione mediatica”.
Il liceo scientifico Cavour (che si vanta di essere “il primo liceo scientifico di Roma e d’Italia”) è già salito alla ribalta delle cronache per vicende legate a discriminazioni omo e transfobiche. A ricordarlo è lo stesso Gay Center nel momento in cui sottolinea che “la discriminazione uccide”, alludendo ad una tragedia che avvenne nel 2012, quando si tolse la vita il quindicenne Andrea Spezzacatena, ribattezzato “il ragazzo dai pantaloni rosa”. Allora, in verità, dopo che gli articoli usciti a caldo avevano scritto a proposito del ragazzo che “era omosessuale e non lo nascondeva“, riferendosi alla sua abitudine di indossare capi d’abbigliamento rosa e di tingersi le unghie dello stesso colore, i compagni di classe di Andrea scrissero una lettera ai giornali (che si guardarono bene dal tornare sulla questione) in cui mettevano nero su bianco che “non era omosessuale, tanto meno dichiarato”, smontando le ricostruzioni fatte sulla scia dei comunicati del Gay Center (allora guidato da Fabrizio Marrazzo, poi fondatore del Partito Gay) e ribadendo che il loro compagno non era mai stato oggetto di bullismo, come invece avevano riportato le diverse testate. La strumentalizzazione politica della tragedia fu respinta al mittente anche dalla famiglia: dopo una fiaccolata contro la violenza omofoba organizzata dal Gay Center nel nome di Andrea Spezzacatena, fu fatto trapelare che la loro presenza non era gradita ai funerali. Più di recente, prima che il liceo Cavour facesse propria la “carriera alias”, era stato un altro alunno della scuola, dichiaratamente “in transizione”, a guadagnarsi la ribalta: nell’inverno 2020-21 Repubblica e FanPage s’erano fatti megafono del grido di dolore di un ragazzo, che aveva scelto per sé il nome di “Andrea”, traumatizzato dal fatto di vedere il suo vecchio nome (che in gergo si chiama deadname) sulla lavagna elettronica e sofferente perché costretto ad andare nel bagno delle ragazze. In un video monografico dedicato alla sua vicenda, Andrea sosteneva pure di ricevere sputi addosso quando usciva col suo partner, che sarebbe stato poi il ragazzo riccioluto che si vede verso la fine.
Nel novembre 2021 il liceo Cavour venne occupato dagli studenti, ed Andrea ebbe modo di andare per la prima volta nel bagno dei maschi. Così si espresse sulla vicenda, sempre immortalata da FanPage, la rappresentante d’istituto Aurora Iacob: “Il fatto che Andrea si sia sentito a proprio agio per la prima volta di andare nel bagno dei maschi durante la nostra occupazione fa capire quanto questa occupazione stia funzionando: era proprio questo il nostro obiettivo”. L’ondata di occupazioni dell’autunno-inverno dell’anno scorso, infatti, produsse una piattaforma rivendicativa nella quale prioritaria era considerata la lotta per “una scuola no-gender”, che si sarebbe dovuta definire attraverso tre innovazioni: l’introduzione della già citata “carriera alias”, l’adozione dello “schwa” nelle circolari, cioé del segno grafico “ə” al posto delle vocali che determinano le desinenze di genere, e la realizzazione di bagni per studenti “non binari”. A differenza di altre stagioni di lotta, le rivendicazioni “no gender” hanno incontrato il plauso di numerosi dirigenti scolastici che, adeguandosi allo spirito dei tempi, hanno preso provvedimenti per rendere gli istituti più “inclusivi” nella direzione indicata dalle avanguardie studentesche. E così, dopo il caso apripista del liceo Colombini di Piacenza, che già nell’ottobre del 2021 aveva “degenderizzato” le proprie toilette, affiancando ai canonici omini e donnine stilizzate cartelli con messaggi “gender free”, si sono accodati, in ordine sparso, il liceo artistico Brera di Milano (che, pur avendo tenuto banco sulle gazzette, alla fine ha “degenderizzato” solo due bagni), il liceo classico Alfieri di Torino, che ha reso “neutro” un intero piano, il liceo artistico Nervi-Severini di Ravenna, il cui preside è stato spinto ad istituire la “carriera alias” constatando quanto fosse diffuso il crossdressing fra i suoi studenti, l’istituto Niccolini Palli di Livorno (che comprende tutti gli indirizzi liceali), la cui dirigente ha aperto invece uno squarcio sul futuro, dichiarando che “Già alle scuole medie, dove ero fino allo scorso anno, ci sono casi di ragazzi e ragazze in cui si riscontrano disforie di genere“. Ad opporsi ai provvedimenti sono stati talvolta, in uno scontro che ha finito con il degenerare nella parodia del conflitto fra “opposti estremismi” degli anni ’70, i ragazzi di Azione Studentesca, l’associazione vicina a Fratelli d’Italia, mentre fuori dalle aule scolastiche è l’organizzazione cattolica antiabortista ProVita&Famiglia a portare avanti la campagna contro quella che viene definita “la diffusione dell’ideologia gender nelle scuole”: all’interno del loro dossier sull’argomento vengono censiti un centinaio di episodi, fra i quali l’adozione del grembiule giallo nelle scuole elementari di Borgo a Buggiano, in provincia di Pistoia, per preparare i bambini allo “sviluppo dell’identità di genere”.
In base alla vulgata che va per la maggiore, le scuole che “degenderizzano” i bagni o i mass media che danno rilevanza alla questione non fanno altro che registrare i cambiamenti avvenuti nella società: oggi tanti giovani non si riconoscerebbero più nel “binarismo” maschile-femminile, invocando il diritto al riconoscimento della propria condizione e spingendo affinché almeno le istituzioni scolastiche si adeguino ai tempi. Le campagne “no gender” sarebbero dunque un effetto, e non una causa, al contrario di ciò che pensano quelli di ProVita&Famiglia, ed avrebbero lo scopo di innestare elementi di “progresso” nel tessuto sociale, favorendo il superamento dei pregiudizi verso condotte di vita che, dopo secoli di ostracismo, si sono affermate come legittime nella postmodernità occidentale. A ben vedere, prendendo in esame i fatti di cronaca sopra riportati, emerge che ad essere coinvolti nella rivoluzione “no gender” in Italia sono solo i licei, le scuole “alte” nelle quali, come si diceva una volta, “si forma la classe dirigente del futuro”, e solo le grandi città da Roma in su (anche se nelle scuole di Napoli, secondo il Corriere del Mezzogiorno, ci sarebbe un “boom” delle “carriere alias”). La questione è quindi appannaggio di avanguardie che trovano, a differenza di quelle dei loro antenati politici ai quali dicono di ispirarsi, ottima accoglienza presso il sistema massmediatico, che si fa promotore delle loro istanze, sbattendo inoltre in prima pagina come mostri tutti quelli che osano sollevare obiezioni. Fra i teoremi elaborati da queste avanguardie, ci sarebbe quello in base al quale, impedendo il benessere scolastico alle masse “fluide”, i governi vorrebbero lasciarle nell’ignoranza e dunque sbarrare la strada alla rivoluzione. Costoro non si avvedono che la loro “rivoluzione” è calata dall’alto, che il “no gender” fa parte dell’agenda di tutti i governi occidentali, a prescindere dal colore politico, e che anche le tanto vituperate “destre” le sono fedeli, nonostante le pose “omofobe” assunte nelle campagne elettorali. I collettivi studenteschi che hanno occupato le scuole per “degenderizzarle” rappresentano le guardie fucsia di questa “rivoluzione”, strumenti più o meno inconsapevoli di un Potere che sta portando avanti il più grande progetto di ingegneria sociale della storia umana. Una delle centrali di questo progetto è l’istituto Tavistock in Gran Bretagna: ne riparleremo. Nel frattempo, buona rivoluzione a tutti.
Gaia dice
Se di vostro interesse posso inoltrarvi il mio scambio di pec in proposito con il garante per l infanzia. Un saluto
Ilaria dice
A me interessa Gaia!
Andrea dice
Dietro a questa incessante propaganda LGBT ovviamente c’è sempre la massoneria che tira i fili. È un attacco alla famiglia tradizionale stabilita da Dio, e noi tutti dobbiamo opporci senza paura a questi moderni dittatori del pensiero unico
Luigi dice
Sono un massone da tanti anni e posso assicurarti che è già tanto se l’obbedienza cui appartengo accetta le donne (unica in Italia e, fra le obbedienze riconosciute, l’unica al mondo), figuriamoci se si mette a propugnare l’agenda gender-fluid. C’è un vecchio adagio che recita “tutti i farabutti sono massoni, ma non tutti i massoni sono farabutti”. Così come nella Chiesa, anche in Massoneria non tutti sono degni dei paramenti che indossano, ma di qui ad attribuire un’agenda politica di tal fatta a questa o a quella obbedienza è peccare di simplicismo e superficialità.
Nicola dice
I pretoriani della rivoluzione con la mascherina, le unghie smaltate e l’insufficienza toracica. Venceremos! Patria o muerte!
mirves dice
Mai come oggi “la madre dei cretini è sempre incinta”!!!
Marco Remotti dice
Sono d’accordo che tutti debbano sentirsi liberi di essere quello che credono. La propaganda è comunque dovuta a una preesistente cultura repressiva. Azione e reazione: repressione prima e sbandieratori per contro. Poi la strumentalizzazione. Secondo me se ne parla troppo. Perché non c’è ancora la libertà e la cultura.
Andrea dice
La massoneria di cui parlo (che poi è la stessa organizzazione diabolica di cui fai parte) è quella dei piani alti, quella del 33esimo grado (in cui ti rivelano chi è veramente il G.A.D.U.), e sopratutto quella delle varie famiglie luciferine (Rothschild, Dupont, Rockefeller ecc.). Voi ai gradi minori siete solo manovalanza di poco conto per questa gente qua, e sapete poco più dei cosiddetti “profani”