Dando un’altra bottarella ad una finestrella di Overton che da tempo va aprendosi, il New York Times ha ripreso, enfatizzato e diffuso in tutto l’Occidente la filosofia di Yusuke Narita, un assistant professor di economia all’università di Yale che va sostenendo la necessità che i vecchi si tolgano la vita per lasciare spazio ai giovani. Secondo Narita, l’invecchiamento del suo paese d’origine, quel Giappone che ha già oggi quasi un terzo della popolazione oltre i 65 anni, si potrebbe arrestare solo attraverso il seppuku degli anziani, il suicidio rituale alla maniera degli antichi samurai, la cui tradizione annovera, fra i suoi ultimi epigoni, lo scrittore Yukio Mishima, che si trafisse il ventre con una spada nel 1970 in segno di protesta contro l’occidentalizzazione del Giappone. Il pensiero del professor Narita è oggetto di attenzione e dibattito nel paese del Sol Levante, il cui primo ministro Fukio Mishida ha di recente lanciato l’allarme sulla sopravvivenza della popolazione giapponese, funestata da una perdita secca di 600000 individui nel solo 2022 e la cui consistenza, con questo trend di decrescita, è stimata in 50 milioni di persone per la fine del XXI secolo a fronte dei 125 milioni attuali, dato determinato anche dalla politica di rigida regolamentazione dell’immigrazione seguita sinora. Mentre i vertici politici si interrogano su come salvare il Giappone dalle culle vuote e dagli ospizi pieni, le speculazioni di Narita si concentrano in verità su ben altri aspetti della questione; a suo dire, infatti, il declino giapponese è legato all’assetto gerontocratico della sua società ed al potere che i vecchi continuano a tenersi stretto nelle istituzioni, nei mass media, nel mondo degli affari. L’eventuale seppuku di massa auspicato dal professore nippo-americano non avrebbe dunque l’effetto di persuadere i giapponesi in età fertile a riprodursi, ma quello di spianare la strada alle loro carriere, che oggi non riescono a trovare sbocco a causa della testardaggine dei vecchiacci, che non ne vogliono sapere di mollare le scrivanie sulle quali si sono con tanta pervicacia arrampicati. Pure la “classica” questione dell’insostenibilità del sistema pensionistico, cavalcata da alcuni partiti che fanno parte dell’attuale maggioranza di governo in Giappone, appare secondaria nelle elucubrazioni di Narita, il quale, trentasettenne che si sente evidentemente un “cervello in fuga”, scalpita per prendersi quel che gli spetta, suscitando il plauso dei suoi omologhi la cui vita, consacrata al mito della carriera e dell’arrivismo, non lascia certo spazio per quei fastidiosi contrattempi chiamati “figli”. In una circostanza, per illustrare meglio il suo pensiero, Narita ha fatto ricorso al film svedese Midsommar, nel quale si tratteggia una comunità un po’ neopagana e un po’ fricchettona in cui vige l’usanza del suicidio degli anziani, i quali, giunti all’età di 72 anni, si recano di loro iniziativa in cima ad un precipizio chiamato ättestupa e si buttano ritualmente di sotto; qualora il colpo non risulti loro fatale, saranno gli altri membri della comunità a porre fine alle loro sofferenza con una martellata sul cranio. Largo ai giovani, dunque; mentre si insinua nell’immaginario collettivo la possibilità di fare ricorso all’eutanasia di stato per i vecchi inutili e succhiapensioni, nonostante un triennio di retorica a buon mercato sulla necessità di salvare i moribondi chiudendo in casa i ragazzini (dopotutto, è la schizofrenia la cifra di questo tempo morboso), fanno capolino nella coscienza le parole scritte di recente da Davide Miccione su queste pagine: “ogni anno che passa muoiono uomini formati da altri uomini e diventano adulti individui che sono stati formati alla vita e all’interazione umana da realtà artificiali e non da altri esseri umani, che hanno fissato uno schermo ben più di quanto abbiano guardato il volto di un altro, che hanno mosso il proprio avatar in un videogame più di quanto abbiano mosso il proprio corpo”.
GR
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