Giuseppe Russo
Avanti.it
Ora che Edson Arantes do Nascimento riposa nel mausoleo edificato alla sua memoria e dopo che il suo funerale è diventato uno di quegli eventi mediatici planetari che segnano compiutamente l’avvento della società dello spettacolo, appare cosa buona e giusta analizzare Pelé come un personaggio storico a tutto tondo, legato sia all’affermazione del calcio come fenomeno “globalizzante” di massa e sia alla creazione del “mito” del Brasile, che fece irruzione nelle mappe dell’immaginario proprio negli anni in cui la Seleção mieteva i suoi primi successi e di cui il futebol bailado è stata una delle più incisive articolazioni. Pelé “creò” il Brasile con i suoi gol e le sue prodezze, mettendo poi la faccia su tutte le pagine di storia degli ultimi sessant’anni, sempre accucciato, col suo ottimismo obbediente e fatalista, all’ombra del Potere, fino a diventare di questo Potere carne, sangue e frattaglie egli stesso. Da dio del pallone che giammai si bruciò sull’altare d’una qualche perdizione, Edson Arantes do Nascimento tracimò in Occidente già trasfigurato in una rappresentazione di comodo depurata di tutte le appendici critiche. E così, se in patria la mitologia di O Rei fu costruita a tavolino, imposta “dall’alto” facendone un eroe nazionale e assimilata dalle masse solo quando questi tirava gli ultimi calci della sua carriera, altrove la sua figura, distillata dai mass media e non dal potere politico, fu predisposta ad evocare un mite esotismo di libertà e disimpegno, una storia di riscatto buona per mille narrazioni, un attestato della bellezza del capitalismo.
L’ascesa di Pelé (e del Brasile) nell’Olimpo del calcio è legata ai due mondiali vinti consecutivamente nel 1958 e nel 1962, i primi nella storia della Seleção. A ben vedere, tuttavia, nei mondiali svedesi del ’58 egli gioca, da esordiente diciassettenne, solo quattro partite, emergendo come protagonista assoluto dai quarti di finale in poi; nell’edizione successiva, invece, O Rei viene fermato da un infortunio nel corso del secondo incontro della fase a gironi, lasciano poi posto e gloria al sostituto Amarildo. La sua popolarità fra i connazionali, inoltre, è limitata alla sfera dei tifosi del Santos, la società nella quale militò per quasi tutta la vita, mentre i cuori delle folle vengono fatti vibrare soprattutto da Garrincha, l’ala destra dribblomane con una gamba più corta dell’altra che sarà a sua volta fra i trascinatori della Seleção nella coppa del mondo del ’62.Il mito di Pelé e della “brasilianità” prende corpo solo a partire dal 1965, un anno dopo l’insediamento al potere della giunta militare dei cosiddetti “gorilla”. In quegli anni, mentre viene magnificato dal regime come modello di “self made man”, di diseredato che ce l’ha fatta grazie all’impegno e alla determinazione, Pelé diventa un bersaglio della dissidenza, che lo accusa di prestarsi docile al ruolo di marionetta dei militari. Il periodico satirico O Pasquim lo ritrae sovente nelle sue vignette come uno dei volti più odiosi, e al contempo ridicoli, di quella sanguinaria dittatura; in una di esse, il campione gonfia la rete a beneficio della squadra della “classe dirigente f.c.” nella partita contro il “popolo f.c.”. Alla fine del decennio, con l’approssimarsi della millesima rete di Pelé in partite ufficiali, i militari si adoperano per dare la giusta cornice all’evento. Quando infatti, il 14 novembre del 1969, nel corso del primo tempo del match contro il Botafogo da Paraiba, disputato per celebrare l’inaugurazione dello stadio della città di João Pessoa, Pelè segna il suo gol numero 999, Antoninho, l’allenatore del Santos, corre ai ripari piazzandolo addirittura in porta nel corso della seconda frazione. Tutto è infatti congegnato affinché O Rei realizzi il suo millesimo centro cinque giorni dopo al Maracanã nell’incontro con il Vasco da Gama, come in effetti avvenne grazie a un calcio di rigore. In quella circostanza, Edson Arantes do Nascimento ha modo di fare la dichiarazione più “politica” che potesse permettergli la sua indole qualunquista, dedicando la rete “ai bambini poveri”.
Il 1970 fu l’anno della definitiva consacrazione di Pelé sia come stella del calcio mondiale che come testimonial del regime dei gorilla. Poco prima che si disputasse la fase finale della coppa del mondo, la Seleção venne politicamente “bonificata”: il commissario tecnico João Saldanha, ex giornalista di rango nonché simpatizzante comunista, venne esonerato nonostante avesse vinto tutte le partite di qualificazione, ed al suo posto fu chiamato il più docile Mario Zagallo, già bicampione del mondo assieme a Pelè nel ’58 e nel ’62, mentre allo staff della squadra in partenza per il Messico si aggregarono diversi militari. Oltre che per motivi politici, Saldanha venne allontanato poiché aveva manifestato l’intenzione di lasciare a casa Pelé, il quale aveva già abbandonato la nazionale dopo i deludenti mondiali del ’66, nei quali venne ancora una volta azzoppato dal rude trattamento riservatogli dai difensori bulgari prima e portoghesi poi. Alla fine, in quella che fu la prima edizione universalmente teletrasmessa della coppa del mondo di calcio, Pelé si impose come il primattore di quella che viene considerata la squadra più forte di tutti i tempi, suggellando la sua apoteosi con due assist e un maestoso gol di testa nella finale contro l’Italia, travolta per 4 a 1 allo stadio Azteca di Città del Messico. La “brasilianità” conquistò dunque il mondo attraverso i teleschermi sintonizzati sulle magie messicane di Pelè, e mentre si profilavano gli anni del “miracolo economico brasiliano”, la “perla nera” si faceva fotografare accanto ai sanguinari ministri Delfim Neto e Jarbas Passarinho, visitava stazioni del “Dipartimento dell’ordine sociale e politico”, la famigerata polizia “segreta” del regime, entrava nelle grazie del capo dello stato Emilio Garrastazu Medici, il quale gli affidò addirittura alcune missioni diplomatiche “informali”.
A sancire una parziale rottura fra O Rei e i gorilla furono i mondiali del 1974, ai quali il giocatore, che aveva lasciato una seconda volta la nazionale nel 1971, rifiutò di prendere parte. Dietro quello che taluni descrivono come un atto “sovversivo” e che condusse alcuni giornalisti vicini al regime a scrivere velenosi articoli contro la sua “ingratitudine”, si celavano in realtà questioni di natura economica: Pelé era in procinto di trasferirsi negli Stati Uniti per giocare nella squadra-baraccone dei New York Cosmos e temeva, memore delle botte rimediate aii mondiali del ’62 e del ’66, di finire azzoppato una volta per tutte e non riuscire ad onorare il sontuoso contratto che la Warner Communications, proprietaria del team newyorchese, gli aveva proposto.
Dopo il definitivo ritiro dal calcio giocato, maturato a seguito di una partita-tributo disputata al Giants Stadium il primo ottobre del 1977 e conclusasi con un trionfale giro di campo in cui O Rei brandiva la bandiera brasiliana in una mano e quella a stelle e strisce nell’altra, questi fece ritorno in Brasile dedicandosi agli affari e al cinema. Nel ruolo di attore, il mondo poté apprezzare Pelé solo nel 1981, quando prese parte al celeberrimo Victory (Fuga per la vittoria in italiano) di John Huston, ma la sua carriera attoriale era iniziata quando ancora incantava i campi di calcio, nel 1969, anno in cui fu protagonista della telenovela fantascientifica Os Estranhos, in cui interpretò uno scrittore che entrava in contatto con gli extraterrestri. Tuttavia, fu solo una volta appese le scarpe al fatidico chiodo che O Rei prese a cimentarsi a tempo pieno con il cinema, e pure in quella dimensione ebbe occasione di manifestare la sua vicinanza al regime militare. Nel film Os Trombadinhas di Anselmo Duarte, girato nel 1979, Pelé figura sia come autore del soggetto che come coprotagonista, interpretando un allenatore delle giovanili del Santos che finisce a pattugliare le strade assieme al poliziotto Bira per sgominare la gang di bambini di strada messa in piedi dal malvagio Manteiga. Nelle scene cruciali della pellicola, quelle in cui Pelè persuade alcuni riottosi ragazzini ad abbandonare il crimine ed abbracciare la carriera calcistica, le immagini sono accompagnate dalle note di Pra Frente Brasil, canzone che era diventata, dopo il trionfo mondiale del 1970, l’inno informale della dittatura.
Negli anni ’80, mentre il regime dei gorilla vacilla e si fanno largo anche nel mondo del calcio le istanze di ritorno alla democrazia, Pelé si “riposiziona” in virtù di una foto scattata in circostanze paradossali. Nel 1984 egli compare infatti sulla copertina della rivista Placar indossando una maglietta con la scritta Diretas Jà, allusione alla campagna per l’elezione diretta del presidente della repubblica, e tanto basta per fargli acquisire la patente di sincero democratico. Il campione venne in realtà “incastrato” dal fotografo Ronaldo Kotscho che, dopo averlo tampinato per settimane, gli fece la proposta indecente di posare con la t-shirt “sovversiva” mentre fendeva la folla di un mercato durante una pausa delle riprese di Pedro Mico, un altro film che lo vedeva protagonista. Impossibilitato dalle circostanze a sottrarsi alle insistenze del fotografo, Pelé si arrese dicendogli: “figlio di puttana…hai dieci secondi per scattare la foto”.
Rifattasi una verginità democratica, Edson Arantes do Nascimento fu tentato dall’abbracciare compiutamente la carriera politica, giungendo sul punto di candidarsi alla massima carica dello stato in occasione delle presidenziali del 1994, quando arrivò addirittura a dichiararsi “socialista”; dissuaso dal fare il grande passo, venne poi nominato, nel 1995, ministro dello sport nel governo di Fernando Henrique Cardoso, esecutivo caratterizzato da corruzione, liberismo feroce e sudditanza al Fondo Monetario Internazionale. Negli anni successivi O Rei si dirà nauseato da quell’esperienza, nell’ambito della quale aveva pur promosso la cosiddetta Ley Pelè, che rappresentò la risposta brasiliana alla liberalizzazione del mercato calcistico europeo sancita dalla “sentenza Bosman” del 1995. Svanito il miraggio della politica politicante, l’ex campione si concentrò sulla valorizzazione del suo potenziale commerciale, prestando il volto ad ogni sorta di spot pubblicitari, da quelli delle patatine a quelli del viagra. Fra il 2013 ed il 2014 si mise a disposizione pure del “lulismo”, appoggiando la scellerata assegnazione al Brasile dell’organizzazione dei mondiali del 2014; nelle manifestazioni che divamparono allora in tutto il paese, le statue di O Rei furono imbavagliate, ed i suoi ritratti dati alle fiamme.
La beatificazione post-mortem di Edson Arantes do Nascimento trova legittimità solo in virtù delle sue gesta all’interno del rettangolo verde, ambito nel quale la sua arte pedatoria ha raggiunto vette sublimi; fuori dal campo, invece, egli è stato un pavido uomo qualunque sopraffatto dalla cieca obbedienza al Potere, o tutt’al più un accorto imprenditore di se stesso.
(Con questo articolo si inaugura l’appuntamento del lunedì con i circenses, sulla scia degli interventi già pubblicati in occasione dei recenti mondiali di calcio nella rubrica “Il Qatar siamo Noi”)
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