Il Qatar siamo Noi #3
Fra le nazionali che prendono parte al mondiale qatariota, è la Danimarca quella che più si è esposta nel denunciare le violazioni dei diritti umani perpetrate dal petroregime degli emiri. Già nel marzo dell’anno scorso, a qualificazione non ancora acquisita, era stata lanciata una petizione per chiedere il ritiro della squadra dal torneo: se fossero state raggiunte le 50000 firme (obiettivo non raggiunto), la questione sarebbe stata discussa nel parlamento danese, all’interno del quale le ragioni del boicottaggio sembravano prevalenti. La federazione locale, dal canto suo, ha preferito sin dall’inizio la strada del “dialogo” con il Qatar, inviando i suoi delegati agli incontri attraverso i quali gli emiri avrebbero rassicurato l’Occidente sul rispetto dei diritti umani e tutto il resto. Inizialmente pareva essersi formato un “fronte nordico” favorevole a forme di boicottaggio: il Tromsø , squadra della prima serie norvegese, aveva chiesto ufficialmente alla federazione di ritirare la squadra dal torneo in caso di qualificazione (cosa comunque non avvenuta), lanciando poi in dicembre una nuova maglia con sovrimpresso un codice QR collegato ad una pagina web sulle violazioni dei diritti nell’emirato qatariota. Ad ogni modo, sfumato il boicottaggio, i danesi hanno escogitato altre trovate per esprimere il loro dissenso. La Hummel International, multinazionale dell’abbigliamento sportivo con sede ad Aarhus, seconda città danese, nel mettere a punto le divise della nazionale per il mondiale si è impegnata a ridimensionare il suo logo, che adesso è quasi invisibile, pur di non essere associata agli emiri cattivi, mentre la Arbejdernes Landsbank, istituto bancario che figurava come sponsor dell’attrezzatura degli allenamenti, si è ritirata dall’affare adducendo “proteste” dei correntisti. Altra trovata della Hummel (come ogni multinazionale dell’abbigliamento che si rispetti, anche la Hummel ha “delocalizzato” una consistente parte della produzione in Cina e nel Sud-Est asiatico) è stata la maglia nera in segno di lutto per l’eccidio operaio, anche se a ben vedere si tratta solo della “terza maglia”, mentre le prime due, rispettivamente rossa e bianca come da tradizione, si ispirano a quelle della Danimarca che, contro ogni pronostico, vinse gli europei del ’92. A ridosso della competizione, la federazione danese ha avanzato la proposta, poi cassata dalla FIFA, di coprire le maglie con la scritta Human Rights for All: hanno fatto la figura dei “ribelli”, ma l’iniziativa riguardava solo la casacca indossata durante gli allenamenti. Nelle partite, invece, il capitano Simon Kjær avrebbe dovuto indossare, assieme ad altri sei capitani coraggiosi, la fascia con un’altra dicitura ribelle, One Love, ma pure su questo la FIFA ha detto no, e i danesi saranno costretti ad esprimere la loro indignazione attraverso formule ancora più creative. Il loro mondiale inizia oggi contro la Tunisia: ogni gol, ogni parata, ogni passaggio più o meno riuscito sarà fatto solo ed esclusivamente per ottenere Human Rights for All.
GR
Vittorio dice
Tira più un pel di football che un carro di buoi …
Zagor dice
…questi mondiali passeranno alla Storia per essere stati, non una competizione sportiva del mondo pallonaro, ma per essere ricordati come i “campionati mondiali dell’ipocrisia” ,naturalmente di matrice occidentale o atlantista ca va sans dir….