Marco Di Mauro
Avanti.it
E così, dopo sette anni di libertà, Maurizio Belpietro è tornato al guinzaglio degli Angelucci? Un guinzaglio dorato, sì, per lui che, stando ai rumores, congelerebbe la poltrona per dieci anni con uno stipendio da nababbo. Ma che ne sarà delle grandi penne che han fatto grande il suo giornale, da Antonelli a Risè, Floder Retter, Tarallo, Conti, Amadori, Giordano, Capezzone, Castellane, Veneziani, Borgopound (volevo dire novo) e il resto della squadra che aveva riportato per una breve stagione il buon giornalismo in Italia? È vero che le vendite dalla fine dell’anno scorso erano calate, e il gruppo editoriale La Verità Srl – allargatosi negli ultimi sei anni con l’acquisizione di Panorama da Mondadori e altri sette rotocalchi minori (tra cui Donna Moderna e Confidenze) da Stile Italia Edizioni fino alla fondazione del secondo quotidiano Verità e Affari affidato a Franco Bechis (poi migrato da Mentana) – essendo indipendente e dunque non avendo appoggi ‘eccellenti’, si è trovato in cattive acque, seguendo la temperie negativa che affligge l’editoria italiana soprattutto in ambito giornalistico. E così già all’inizio dell’anno un pizzino di Dagospia incastrato tra le mammelle della Gregoraci, la carrozzeria della Lamborghini e la non proprio callipigia Ferragni ci informava che era arrivata l’offerta degli Angelucci, già editori di Libero e che punterebbero a creare un “polo di destra” del giornalismo italiano, a cui in prima istanza Belpietro – proprietario del 58,35% delle azioni della srl, seguito da Enrico Scio, Ferruccio Invernizzi e Nicola Di Benedetto ciascuno con una quota del 12,65% e Mario Giordano al 3,7% – aveva posto un veto assoluto, per poi ammorbidirsi gradualmente fino ad accettare una transazione che, stando sempre a Dagospia, si sarebbe conclusa ieri, mentre Affari Italiani già due giorni fa ne dava addirittura i dettagli, parlando di una transazione di 15 milioni di euro. Tuttavia Maurizio Belpietro, contattato da Adnkronos, ha smentito categoricamente la notizia
Chi ha la memoria non troppo corta sa che era ben giustificato il veto di colui che fu strenuo pappagallo di Berlusconi nel ventennio dorato, per poi riparare, dopo la puttanopoli che detronizzò zio Silvio, proprio tra le braccia degli Angelucci, la sacrata famigghia delle cliniche laziali, che in seguito non ebbe alcun problema a espellere Maurizio Belpietro dalla direzione di Libero quando nel 2015 mise fuori alcuni scheletri dall’armadio di Renzi e Verdini, causando così indirettamente la nascita del quotidiano La Verità, nei suoi primi anni non altro che una delle tante voci della destra canotta e fucile – spara al ladrun e fonda il barcun, per intenderci. Quando è arrivata l’Operazione Covid però il quotidiano milanese è stato l’unico in Italia a non abbracciare incondizionatamente il pensiero unico nazisanitario, ponendosi come voce autorevole contro la truffa dei test PCR, la pericolosità e letalità dei cosiddetti ‘vaccini’ Covid, le assurde restrizioni e obblighi pseudo-sanitari, le vessazioni illegali perpetuate contro chi non si è sottoposto alla sperimentazione vaccinale, la dittatura economica dei tecnocrati di Bruxelles, la devastazione culturale e sociale del woke e del gender. Unico quotidiano mainstream a contrastare la voce del padrone, le cui inchieste erano amplificate nel golem televisivo da Fuori dal coro di Mario Giordano, La Verità è stato in questi due anni un punto di riferimento per tutti gli emarginati e vessati dalla democratura sanitaria: abbiamo continuato a comprarlo anche se atlantista, anticinese, perfino quando ha iniziato a diventare l’Istituto Luce del governo Meloni. Ma il passaggio agli Angelucci no, non lo accettiamo.
Se verrà confermata la notizia chi scrive, attento e appassionato lettore del quotidiano milanese come molti altri che hanno voluto sostenerlo ogni singolo giorno fin quando è stato un progetto indipendente, non comprerà più La Verità. Perché se passano agli squali delle cliniche laziali, potranno anche mascherare la conversione a giornalaccio d’apparato, farla avvenire gradualmente, potranno aver strappato la concessione ai nuovi padroni di mantenere la stessa linea editoriale, ma si sa come vanno certe cose. In quel caso avremmo perso la Verità, e in edicola – con il Fatto che stipendia Scanzi e la Lucarelli, L’Identità del losco Cerno che con l’endorsement alla Schlein è praticamente nato morto – non ci è rimasto niente.
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