Giorgia Audiello
Avanti.it
Recentemente, le case farmaceutiche Moderna e Merck hanno annunciato che entro il 2030 potrebbe essere pronto un rivoluzionario “vaccino” in grado non tanto di prevenire, bensì di curare patologie come il cancro e le malattie cardiache attraverso l’innovativa tecnologia dell’mRNA usata nei vaccini anti-Covid, grazie ai quali è stato possibile accelerare la sua sperimentazione. Lo ha riferito al quotidiano britannico The Guardian il direttore medico di Moderna Paul Burton, che ha affermato che l’azienda sarà in grado di offrire tali trattamenti per «tutti i tipi di aree patologiche» in soli cinque anni. Alcuni ricercatori hanno spiegato, invece, che «15 anni di progressi sono stati accorciati in 12-18 mesi grazie al successo del vaccino anti-Covid». Iniziano ad emergere, dunque, alcune delle reali finalità dietro alla vaccinazione di massa basata su quella che in realtà è una terapia genica: rivoluzionare la medicina e la farmacologia con l’uso dell’mRNA, sperimentandone gli effetti direttamente sulla popolazione. Naturalmente ancora non si conoscono l’efficacia né i costi di tali trattamenti, quel che è già noto, però, è che essi vengono chiamati impropriamente vaccini e che non sono privi di rischi. Nonostante ciò, il circo mediatico del mainstream ha prontamente celebrato ed enfatizzato la notizia, esultando per i “miracoli” prodotti dai vaccini anti-Covid che avrebbero permesso, a loro volta, di aprire la strada ad ulteriori vaccini basati sulla medesima tecnologia ed in grado di prevenire tumori e altre malattie oggi ancora difficilmente curabili. Il noto giornalista, conduttore di Tg La7, Enrico Mentana, ad esempio, si è scagliato contro i generici “no vax”, facendo notare come «oltre ad averci permesso di fronteggiare la pandemia di Covid, i vaccini a Rna messaggero aprono la strada verso altri vaccini che ci potranno preservare dai tumori e da altre malattie». La verità è che quelli in questione non sono vaccini, in quanto non prevengono la malattia, ma sono terapie personalizzate che vengono somministrate a chi ha già contratto la patologia e dovrebbero al più essere in grado di curarla, sebbene l’efficacia sia ancora tutta da dimostrare.
Si è parlato di “vaccini terapeutici” e non preventivi per giustificare l’uso del termine “vaccino” che comunque resta improprio perché il vaccino per definizione nasce a scopi preventivi e non curativi. Tuttavia, l’equivoco potrebbe originare dal fatto che il funzionamento di quello che in realtà è un trattamento genico risulta in parte simile al meccanismo del vaccino: dovrebbe, infatti, “insegnare” al sistema immunitario a riconoscere il “nemico” innescando la risposta. Semplificando, il funzionamento del trattamento in questione è il seguente: tramite biopsie e grazie a un algoritmo si identificano le mutazioni delle cellule tumorali che non sono presenti in quelle sane e guidano lo sviluppo del tumore, oltre ad essere in grado di attivare il sistema immunitario; l’informazione serve a sintetizzare, in laboratorio, l’Rna messaggero (mRna) con le istruzioni per innescare la risposta immunitaria; una volta iniettato, infatti, l’mRNA viene tradotto in parti di proteine identiche (antigeni) a quelle che si trovano sulle cellule tumorali. Tuttavia, come ha spiegato la direttrice del laboratorio di immunoregolazione “Armenise-Harvard”, IIGM e IRCCS Istituto per la Ricerca sul Cancro di Candiolo, Luigia Pace, ci sono alcune “sfide” da superare prima che questi trattamenti possano essere effettivamente applicati: innanzitutto l’identificazione della mutazione giusta da utilizzare e, in secondo luogo, la riattivazione – non scontata – del sistema immunitario. Oltre a questi ostacoli, poi, la terapia non è priva di rischi, a partire da quello delle reazioni autoimmunitarie, perché le proteine associate agli antigeni tumorali possono essere espresse da normali cellule dell’organismo e quindi sensibilizzare il sistema immunitario verso cellule innocue. Il rischio aumenta se si utilizza come antigene una proteina sintetizzata a partire dalla biopsia della cellula tumorale del paziente, perché sono ancora più simili. Nonostante questo, lo scorso febbraio la Food and Drug administration (FDA) americana ha concesso al “vaccino” contro il cancro personalizzato di Moderna la designazione di terapia rivoluzionaria, che implica che la sua revisione normativa sarà accelerata, così come accaduto precedentemente con il vaccino a mRNA per il virus respiratorio sinciziale (RSV).
Al momento non ci sono prove dell’efficacia di questi trattamenti, ma si sa per certo che le case farmaceutiche sfruttano gli annunci trionfanti sul loro funzionamento e sulle presunte possibilità senza precedenti di curare diversi tipi di patologie per attirare nuovi finanziamenti e per non indebolire quel sistema di profitto e potere costruito durante la pandemia. Il professor Andrew Pollard, direttore dell’Oxford Vaccine Group e presidente del Joint Committee on Vaccination and Immunization (JCVI) del Regno Unito, ad esempio, ha espresso il timore che l’incombere di un conflitto più ampio in Europa possa dirottare l’attenzione dagli investimenti nel settore farmaceutico: «Le pandemie sono una minaccia tanto quanto quella militare, se non di più, perché sappiamo che accadranno con certezza. Ma non stiamo investendo nemmeno l’importo che servirebbe per costruire un sottomarino nucleare», ha affermato. L’obiettivo è, dunque, quello di dare nuovo slancio all’industria farmaceutica, facendo passare per vaccino ciò che vaccino non è, traendo così facilmente in inganno l’opinione pubblica e gli eventuali finanziatori pubblici.
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