Il Qatar siamo Noi #13
Con la Russia tagliata fuori dalle sanzioni e l’Iran eliminato dopo essere stato battuto sul campo dal “Grande Satana” in persona, la palma di squadra più odiosa e “sovranista” del mondiale qatariota non può che passare alla nazionale serba, che oggi si gioca contro la Svizzera il passaggio al secondo turno. Una settimana fa, prima dell’esordio contro il Brasile, i serbi avevano maliziosamente fatto girare un’istantanea dallo spogliatoio nella quale faceva bella mostra di sé una bandiera con una carta geografica “ritoccata” in modo da includere all’interno dei confini serbi anche il Kosovo, che proclamò la sua “indipendenza” a tutela americana, mai riconosciuta dal governo di Belgrado, nel 2008. Ad attizzare il fuoco della provocazione, la scritta “nessuna resa” a corredo dell’immagine. Il ministro kosovaro dello sport, la cui federazione partecipa alle competizioni internazionali dal 2016, ha definito “genocida” la bandiera esposta dai serbi, mentre la FIFA minacciava castighi esemplari e i media occidentali abbaiavano alla Serbia “sciovinista”. Quella della federazione serba appare una precisa strategia comunicativa, nella consapevolezza che le partite si giocano prima sul palcoscenico massmediatico e poi sul campo (mera appendice del palcoscenico stesso). Il caso beffardo ha voluto che ai mondiali qatarioti si riproponesse la stessa sfida ad alto contenuto “geopolitico” che aveva infiammato i mondiali russi di quattro anni fa, quel Serbia-Svizzera che nel 2018 vide prevalere gli elvetici per 2 a 1; di quella partita non si ricordano gesti tecnici, ma proclami politici: a segnare i gol della Svizzera furono due kosovari, Granit Xhaka e Xherdan Shaqiri , ed entrambi esultarono formando con le mani un’aquila sul petto, simbolo della “Grande Albania” e del Kosovo indipendente. Shaqiri, che oggi dovrebbe partire dalla panchina, si presentò in campo con la bandiera kosovara cucita sullo scarpino destro;segnò il gol della vittoria e poi si scusò per gli eccessi; Xhaka, invece, che della Svizzera oggi è il capitano, ha sempre rivendicato la legittimità dell’esultanza, sostenendo di averlo fatto per la sua gente e la sua patria, che evidentemente non è la Svizzera dove è nato (a differenza di Shaqiri, che è nato in territorio oggi kosovaro). Fra i serbi, il più “nazionalista” dovrebbe essere il difensore Stefan Mitrović, che nell’ottobre 2014, durante una tesissima partita fra Serbia e Albania, abbatté un drone con drappo albanese che aveva preso a ronzare sul terreno di gioco, cagionando una maxirissa e la sospensione dell’incontro, poi dato vinto a tavolino alla squadra albanese. Oggi in quel di Doha, non si dovrebbe arrivare a tanto (e poi c’è l’Aspire Control and Command Center che tiene tutto sotto controllo) ; Serbia-Svizzera, ad ogni modo, sarà anche un Serbia-Kosovo, un Oriente contro Occidente, un nazionalistisovranistibruttisporchiecattivi contro cosmopoliti e multietnici. Se al posto della Serbia, chiaramente, ci fosse stata l’Ucraina, avremmo assistito a un’altra partita mediatica: così va il mondo e così va il mondiale.
GR
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