Francesco Santoianni
Avanti.it
Tutti, giustamente, impietositi per gli Ucraini, per via dei missili russi, senza elettricità e costretti a patire freddo e privazioni. Nessuno che si degni di ricordare quello che nel 1999 dovettero patire i Serbi per via dei bombardamenti Nato, osannati dai nostrani media; bombardamenti condotti anche con bombe a grafite (preposte a distruggere le infrastrutture elettriche) e uranio impoverito e che comportarono la morte di circa 6.000 civili. Un crimine, scandalosamente, archiviato dall’ ICTY, il Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia delle Nazioni Unite.
Così come oggi nessuno fa caso a quello che sta succedendo in Siria dove la popolazione sta morendo, letteralmente, di fame – oltre che per le conseguenze di una guerra per procura imposta dall’Occidente cominciata nel 2012 (500mila morti e milioni di profughi) a causa di atroci sanzioni aggravate da quelle imposte nel maggio 2020 da Trump con il Caesar Syria Civilian Protection Act e reiterate dall’Unione Europea nel maggio 2022 che colpiscono anche Paesi che osano intrattenere relazioni commerciali con la Siria. Sanzioni che basano il loro essere sulla colossale bufala delle “Foto di Caesar”: un sedicente fotografo della Polizia militare siriana che avrebbe fotografato migliaia di cadaveri di condannati a morte dal “regime di Assad”. Su questa bufala, un dossier in lingua italiana; qui limitiamoci ad alcune considerazioni, saltando a piè pari sulla dabbenaggine (o peggio) di istituzioni culturali, enti locali, giornalisti e politici italiani che hanno preso per buona una evidentissima menzogna ritenuta tale persino da membri del Congresso USA.
L’ “Operazione Caesar” nasce finanziata dal governo del Qatar (principale sponsor dei tagliagole jihadisti impegnati nella guerra alla Siria) che incaricò il “prestigioso” studio legale londinese Carter-Ruck (tra suoi assistiti anche Recep Erdoğan) di verificare l’attendibilità delle 11mila foto fornite da “Caesar” (e a questi da suoi colleghi, anch’essi fotografi della polizia militare siriana). Attendibilità attestata, dopo pochi giorni, nel report “Into the credibility of certain evidence with regard to Torture and Execution Persons Incarcerated by the current Syrian regime.” Da quel momento le “foto di Caesar” divennero oggetto di innumerevoli articoli e mostre (al Museo dell’Olocausto di Washington DC, nel Palazzo di Vetro dell’ONU a New York, nel Parlamento Europeo di Strasburgo) visitate da frotte di persone indignate e commosse, senza che nessuno sui media si ponesse elementari domande.
Prima tra tutte: perché i visi di quasi tutti i cadaveri sono celati da quadrati neri? Sulla questione già rispondeva il rapporto Carter-Ruck (pag. 19): «Per motivi di sicurezza e privacy facce o altre caratteristiche potenzialmente identificativi nelle foto sono state rimosse.» Motivi di sicurezza e di privacy? per persone la cui identificazione avrebbe significato un inequivocabile atto di accusa per i carnefici? per delle famiglie che certamente avrebbero diritto di conoscere la sorte toccata ai loro cari? per i condannati stessi, che in questa rivelazione avrebbero potuto esternare la loro ultima testimonianza? Niente. “Motivi di sicurezza e di privacy”. E così nulla si può dire sull’identità delle persone martoriate e uccise. Chi invece ha trovato qualcosa da ridire è stata, oltre a Stephen Rapp, ambasciatore americano incaricato alla Giustizia internazionale, l’organizzazione Human Rights Watch (non certo tenera con il governo Assad) che ha riconosciuto in numerose foto, non dissidenti uccisi dal regime, bensì soldati e poliziotti uccisi dai ribelli. Circostanza attestata anche dai codici apposti sui cartellini mortuari, apposti sul petto di non poche salme, analizzati dal ricercatore statunitense Adam Larson.
A questo punto ci sarebbe da chiedersi perché prove così fallaci vengono accettate da tutti e utilizzate per comminare feroci sanzioni o scatenare guerre. Non è una novità, considerando che già si seppe subito che la testimonianza su soldati iracheni che gettavano a terra i neonati per trafugare le incubatrici era stata fatta non da “Nayirah, una coraggiosa infermiera” bensì dalla figlia dell’ambasciatore kuwaitiano a Washington, su incarico dell’agenzia di pubbliche relazioni Hill & Knowlton (pagata 10 milioni di dollari). Così come già è noto, anche perché denunciato da numerosi reporter certamente non teneri con Putin, che a Buča l’eccidio di civili trovati per strada è stato commesso non da militari russi bensì ucraini. Nonostante ciò, quell’eccidio è stato impunemente ripreso da Ursula von der Leyen, presidente dell’esecutivo dell’Unione europea proprio per accusare la Federazione russa e mettere su l’ennesimo Tribunale speciale.
Come è possibile tutto ciò? come è possibile che le notizie vengano così clamorosamente travisate? C’è una famosa considerazione: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità” che comunemente viene attribuita a Goebbels, ministro della Propaganda del Terzo Reich. Non è così: è stata espressa da Edward Louis Bernays, che applicò alla propaganda le tecniche che sovrintendono all’attivazione dell’inconscio analizzate da suo zio Sigmund Freud. La frase la disse nel dicembre 1916, appena entrato a far parte del Committee on Public Information che doveva convincere gli Americani, allora riluttanti, ad entrare in guerra. Quattro mesi dopo gli Stati uniti entrarono in guerra.
Bertozzi dice
Grazie per la precisazione su Bernays e Goebbels. L’attribuire quella frase al secondo è un errore che fanno spesso anche molti ben intenzionati.
Francesco Santoianni dice
Lo fanno anche molti male intenzionati. E cioè persone che scaricano sul nazismo infamie tipiche delle “società democratiche”.