Giuseppe Russo
Avanti.it
Nel giorno in cui il Senato ha approvato a larga maggioranza la risoluzione delle forze di governo sulla crisi ucraina in virtù della quale si continueranno a garantire “misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari”, smascherando impietosamente il bluff del “barricadero” Giuseppe Conte, il Palazzo celebra altresì lo svezzamento definitivo di quello che era stato un imberbe bambolotto: Luigi Di Maio ha abbandonato il Movimento 5 Stelle per dare vita, assieme ad altri 61 fra deputati e senatori (dato in costante ridefinizione), a nuovi gruppi denominati “Insieme per il futuro”.
La mossa del ministro degli esteri, accuratamente preparata nelle settimane passate, produce un terremoto negli equilibri parlamentari: come egli stesso ha maliziosamente sottolineato in conferenza stampa, il Movimento 5 Stelle, già decimato da miriadi di scissioni individuali e di gruppo, perde il primato della rappresentanza nei due emicicli (ora è la Lega ad avere i gruppi più numerosi) e fa un altro passo verso la dissoluzione. Ragionando in punta di diritto costituzionale (e di prassi parlamentare), ora il governo dovrebbe subire un rimpasto (Di Maio occupa la Farnesina in nome di un partito che ha abbandonato) e sottoporsi a nuovi voti di fiducia, tutte prospettive che il Drago ha scartato recisamente. Volendo lasciar le cose come stanno, i neonati futuristi dimaiani occuperebbero nell’esecutivo, oltre alla pesante poltrona di ministro degli esteri, cinque posti fra viceministri e sottosegretari: Castelli, Di Stefano, Macina, Nesci, Sileri. Salvini già si agita al riguardo: lo lasceranno abbaiare finché non darà fastidio, poi giungerà il suo turno. Se pure Conte, barcollante oramai come un pugile suonato, dovesse decidere di togliere la fiducia al governo, sarebbe comunque troppo poco e troppo tardi per salvare il miraggio a 5 stelle, ed il Drago ne uscirebbe addirittura rafforzato, con una maggioranza ancor più compatta e “atlantista”. La demolizione più o meno controllata del Movimento è compiuta: per contrappasso, la responsabilità del disastro ricade tutta sull’ex “avvocato del popolo”.
Mentre alla Camera la formazione del gruppo non è mai stata numericamente in discussione, il regolamento del Senato poneva qualche ostacolo burocratico agli ambiziosi dimaiani: per dare vita ad una formazione autonoma, con tutti gli annessi e connessi in termini di spazi e soldoni, occorreva “appoggiarsi” al simbolo di un partito presentatosi alle ultime politiche. In loro soccorso, è accorso il sottosegretario alla presidenza del consiglio Bruno Tabacci, vecchio volpone tecnocratico-democristiano non nuovo a spregiudicate operazioni di questo tipo (aveva fatto lo stesso con +Europa della Bonino), che ha messo a disposizione il suo “Centro Democratico” buono per tutte le stagioni. Pur smentendo questa disponibilità in un’intervista concessa a La Stampa, Tabacci ha parlato esplicitamente di “liberare gli elettori” alludendo alle Grandi Manovre per raggiungere quella Terra Promessa chiamata “Grande Centro”, operazione di cui il teatrino di Giggino è solo un tassello. Va detto che il suo l’ex “bibitaro” l’ha fatto: nella surreale conferenza stampa (una perla su tutte: “Uno non vale l’altro. L’esperienza, le capacità personali, lo studio devono rappresentare necessariamente un valore aggiunto per le forze politiche”) ha lanciato spunti per un manifestino del nuovo partitino: europeismo oltranzista, atlantismo suicidario, liberismo feroce, covidismo di ritorno. Tutto nel nome del Drago, miglior premier della storia universale. Una volta “liberati gli elettori” dal contagio populista, i tempi saranno maturi per mettere in piedi questa nuova balena bluastra, un soggetto che avrebbe l’ambizione di scalzare il PD dal ruolo di partito-regime, di principale cinghia di trasmissione in Italia del potere transnazionale. Ubriacati dalla prospettiva, salgono sul carrozzone alla rinfusa i più furbi palazzinari d’Italia: Renzi, Sala, Toti, Casini, Mastella, Pizzarotti…l’elenco si farà col tempo lunghissimo, inglobando legioni di predoni dalla fame arretrata, boiardi d’ogni ordine e grado, mafiosi orgogliosi e, soprattutto, giovani ambiziosi fra i quali andare a pescare il Macron italiano. In questo senso Giggino, che secondo alcuni sondaggi vale da solo il 5% dell’elettorato, si sente già investito della sacra missione. Gli manca solo la sua Brigitte.
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