La narrazione uniformante dei media di regime non fa breccia nel popolo sempre e comunque. È quello che stanno dimostrando i tamburi della propaganda atlantista per fomentare russofobia e corsa agli armamenti: stavolta neanche la sinistra ci è cascata. In effetti, non ce lo aspettavamo, dopo aver assistito negli anni dell’operazione coronavirus al cieco esercizio di obbedienza a norme e protocolli pseudo-sanitari (primo su tutti, la mascherina all’aperto) e alla più cieca professione di fede alla narrazione imposta da tecnici ed esperti. Ebbene sì: noi credevamo che lo stoicismo covidista della sinistra italiana avrebbe immediatamente scaricato e installato l’aggiornamento inviato dall’alto, trasformandosi in frenesia bellica e odio verso tutto ciò che è russo. E anche loro, i padroni del discorso, lo credevano: già Cairo Communication preparava il terreno su La7 con titoli come “Da No Vax a Pro Putin?” ma abbiam fatto male i conti, noi e loro. Se nel piano sanitario entrava in campo la sacralità della Scienza, con le sue leve stregonesche che sobillavano le più ataviche paure sulla propria salute, l’avversità alla guerra è sempre stata, invece, uno dei valori di sinistra che nemmeno lo tsunami fucsia è riuscito a scalfire. Così, l’evento “Pace proibita” organizzato il 2 maggio dalle 21 alle 23,30 da Michele Santoro al Teatro Ghione di Roma ha fatto il tutto esaurito, vedendo la partecipazione straordinaria di tutti personaggi della sinistra anti-sistema che durante la pandemia o erano spariti, o ce li eravamo ritrovati a pappagallare sul trespolo petaloso della narrazione repubblichina (nel senso di Molinari). Ascanio Celestini, Fiorella Mannoia, Vauro Senesi, Moni Ovadia, Sabina Guzzanti, Tomaso Montanari: ce li siamo trovati tutti là, insieme, in un revival dal sapore cinematografico, come stagionati vendicatori marveliani, a dire basta alle armi, sì alla pace. I più si sono astenuti dal parlare apertamente delle ragioni di Putin, anche se Ovadia ha letto un bellissimo articolo della giornalista americana Lara Logan sul battaglione Azov. La diretta dell’evento, rifiutata dal mainstream, è passata sui canali indipendenti, Byoblu, Telenorba, etc. e un tripudiante Santoro all’indomani del grande successo non ha disdegnato di lasciare intendere un suo ritorno in politica: “Fare il mio lavoro è la mia politica, ma se il mondo volesse un partito nuovo non capisco perché io non potrei aderire come tanti altri”.
A Napoli – stesso giorno, tre ore prima – l’aria era diversa. Duecento persone si sono presentate all’evento organizzato dal partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo (noto come CARC) che, fermandosi al titolo, sembrerebbe proprio la stessa cosa: “Contro la guerra, la propaganda di guerra e la censura. Per la libertà d’informazione”. Ma, già dall’impostazione, tutto cambia: si inizia commemorando la strage di Odessa – quella in cui 42 persone morirono bruciate vive, torturate e giustiziate in loco dai neonazisti (finanziati dagli USA) che diedero fuoco alla Casa dei sindacati – poi interviene Ciro Raia, presidente dell’ANPI di Napoli, che risponde ai pesanti attacchi subiti negli ultimi giorni per non essersi schierati univocamente con la propaganda atlantista. Ospite di punta è Giorgio Bianchi, appena tornato dal Donbass, che spiega a che punto è il conflitto e riporta ciò che ha visto sul campo. Così come nelle intenzioni degli organizzatori, l’evento prosegue nella sua natura pluralistica e composita: la moderatrice Fabiola D’Aliesio, direttivo nazionale CARC, dà la parola a don Filippo Severino del movimento Pax Christi come al giornalista Francesco Santoianni, a volti noti della politica locale come Luigi De Magistris, Giorgio Cremaschi e Maria Muscarà si alternano attivisti locali come Valentina Dell’Aversana del Comitato contro la deriva autoritaria della gestione della pandemia e il giovane Gennaro Thiago Menna. È proprio questa pluralità, ci spiega Igor Papaleo, segretario CARC della Campania, la reale depositaria della verità, che va restituita alle classi popolari per costituire quell’intelligenza collettiva che è la base di qualunque discorso organizzativo. I CARC stanno faticosamente costruendo il comunismo contemporaneo, e hanno le idee chiare: diversamente da Potere al popolo!, che dopo il diktat di Cremaschi ha abbandonato qualsiasi forma di dissenso alla narrazione dominante in materia di Covid e dittatura sanitaria, i Comitati a Napoli hanno fin da subito stretto una solida alleanza con le realtà contrarie al green pass, dagli studenti fino ai gruppi minori, condividendo anche la piazza e offrendo le loro strutture per riunioni ed eventi. Così, nonostante la partecipazione popolare assai minore rispetto ad altre metropoli italiane, Napoli è l’unica città dove i movimenti contro le politiche economicide e le assurdità sanitarie dell’operazione coronavirus hanno assunto un’anima di sinistra. Quest’evento, così come le attività capillari sul territorio di quelli che per i più sono soltanto centri sociali, è un primo passo, a detta di Igor Papaleo, verso la creazione di strutture autonome di autogoverno che possano sopperire al distacco sempre maggiore delle istituzioni – ormai al soldo dei poteri sovranazionali – dai popoli. Napoli chiama Roma: ancora una volta, le realtà territoriali hanno dato una lezione di socialismo ai pacifisti arcobaleno.
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