Giuseppe Russo
Avanti.it
Una consuetudine istituzionale vuole che a presiedere la prima seduta del Senato all’indomani di un’elezione sia il senatore più anziano dal punto di vista anagrafico. Guardando alle ultime tre circostanze utili, infatti, i primi presidenti sono stati tutti dei senatori a vita: Giulio Andreotti nel 2008 (dopo rinuncia di Rita Levi-Montalcini e Oscar Luigi Scalfaro), Emilio Colombo nel 2014 (dopo la rinuncia dello stesso Andreotti) e Giorgio Napolitano nel 2018. Il ranking dei vegliardi nel 2022 prevede ancora una volta Napolitano al primo posto coi suoi 97 anni, seguito da Liliana Segre con 92 e dall’altro senatore a vita Carlo Rubbia con 88. I tre primatisti, tuttavia, a Palazzo Madama si sono fatti vedere pochissimo nell’ultima legislatura: Napolitano non ha partecipato a nessuna seduta risultando sempre in congedo per malattia, la Segre ha preso parte ad appena 761 votazioni su 8538, Rubbia giusto a qualcheduna in più. Insomma, c’è aria di rinuncia, e dunque lo scettro di primo presidente del Senato dovrebbe andare al più anziano fra gli eletti, ruolo che, nonostante l’improbabile concorrenza di Gina Lollobrigida, candidata con Italia Sovrana e Popolare a 95 anni suonati, dovrebbe toccare al quasi ottantaseienne Silvio Berlusconi, che corre da capolista di Forza Italia in cinque collegi plurinominali e da candidato di tutta la coalizione nel collegio uninominale di Monza. L’ambizione malcelata del Cavaliere è quella di insediarsi stabilmente alla presidenza del Senato, consumando l’ennesima rivincita della sua vita telenovelica, visto che da quell’aula venne dichiarato decaduto quasi nove anni fa dopo la condanna a quattro anni per frode fiscale. Occupando quella che viene considerata la seconda carica dello Stato, inoltre, Berlusconi punterebbe ancora più in alto: nei suoi sogni senili quella poltrona rappresenta l’anticamera della presidenza della repubblica.
Prima di tornare nel Palazzo, Berlusconi ha dovuto pazientare la bellezza di nove anni e sorbirsi tutto l’iter giudiziario, dalla gogna fino alla “riabilitazione” del 2018, a cui era già seguito un antipasto di rivincita con l’elezione all’Europarlamento del 2019. Prima di tornare nel “calcio che conta”, invece, gli anni d’attesa sono stati cinque. Era la primavera del 2017 quando, al termine di una trattativa dai contorni opachi, il Milan passò nelle mani del carneade cinese Li Yonghong, con sommo sollievo dei figli di Berlusconi, per i quali il giocattolone s’era fatto troppo costoso, e sommo sconcerto dei tifosi, che vedevano fatta a pezzi dalla globalizzazione la stessa identità del club, permeata da trent’anni di berlusconismo con annessi scudetti, coppe e supercoppe. Nell’autunno del 2018, invece, dopo essere stato fermo per una sola stagione, a ottant’anni e passa Berlusconi si regalò un nuovo giocattolino per la vecchiaia, l’Associazione Calcio Monza, che all’epoca annaspava in serie C, coinvolgendo il fido Adriano Galliani nel ruolo di amministratore delegato. Nell’arco di quattro anni ha portato, come promesso, la squadra in serie A per la prima volta nella sua storia. L’esordio del Monza nella massima serie è stato però disastroso: le quattro sconfitte di fila hanno costretto Berlusconi ad intervenire personalmente, esonerando l’allenatore Giovanni Stroppa e mettendo le cose a posto in campo e negli spogliatoi. Ed ecco l’ennesimo miracolo italiano: nella domenica prima delle elezioni, il Monza ha ottenuto la prima vittoria in serie A battendo addirittura la Juventus. Dopo esser stato sul punto di ingaggiare Cristiano Ronaldo l’estate scorsa, Berlusconi punta a vincere scudetto e Champions League in quattro o cinque stagioni al massimo. Nell’interminabile tramonto di questo individuo, l’orizzonte si dilata verso l’infinito: per vincere la Champions League della politica, ovvero quella presidenza della repubblica che è l’unico trofeo che manca alla sua bacheca, il Cavaliere dovrebbe attendere, salvo marasmi, fino alla scadenza del secondo settennato mattarelliano, nel 2029, e restare eventualmente in sella fino al 2036, quando compirebbe esattamente cent’anni.
L’eternauta Berlusconi, pur essendosi costruito negli anni uno zoccolo duro nell’elettorato più attempato e pur essendo abituato a condurre campagne promettendo dentiere gratis, è di recente sbarcato su Tik Tok, il social dei ragazzini, a suon di video al contempo comici e inquietanti: per restare al piccolo schermo a lui così caro, una via di mezzo fra nonno Simpson e It, il pagliaccio assassino. Almeno un giovane pare sia rimasto positivamente colpito: il trapper lecchese Baby Gang (Delinquente il suo primo album) ne ha così parlato su uno dei suoi profili: “Gira e rigira il capo rimane sempre lui. Quando c’era lui l’Italia era la vera Italia, non si può dire nulla a sto uomo. Forza Italia!”. Ci sarebbe poco da aggiungere parlando della campagna elettorale berlusconiana: nel complesso, è stata la replica di una televendita anni ’90. Per dare un minimo di sugo alla storia, i cronisti politici hanno cucito un’ulteriore maschera intorno al volto plastificato di Berlusconi, quella dello “statista responsabile” che vigilerebbe sulle pulsioni “sovraniste”, “euroscettiche” e finanche “russofile” che caratterizzerebbero gli alleati Lega e Fratelli d’Italia. Il prossimo governo, a detta del Cavaliere, dovrà essere “liberale, cristiano, europeista ed atlantista”, altrimenti Forza Italia non ne farà parte: quanto basta per elevare il morituro Berlusconi a protagonista di mille sottotrame fantapolitiche, come quella in virtù della quale i suoi parlamentari andrebbero a convergere, in spregio ai patti di coalizione, con quelli di Letta e Calenda all’indomani delle elezioni per dare vita ad un esecutivo marcatamente draghista, con o senza lo sputafuoco medesimo. L’ultimo “incidente diplomatico” strumentalizzato ad arte si è verificato in occasione della votazione con la quale il parlamento europeo ha sospeso l’erogazione di fondi all’Ungheria di Orban, accusata di non essere più uno “stato di diritto” nel senso occidentale del termine: gli eurogruppi in cui rientrano la Lega e Fratelli d’Italia hanno votato contro, il PPE di Berlusconi (di cui Fidesz, il partito di Orban, ha fatto parte fino al 2019) è stato fra i principali promotori dell’iniziativa. Il senescente “europeismo” di Berlusconi serve per trovargli uno spazio in un mercato politico in cui il declino della sua televendita è attestato da numeri brutali: tredici milioni e mezzo di voti alle elezioni del 2008 (come Popolo della Libertà), poco più di sette milioni a quelle successive, quattro milioni e mezzo di schede per la rediviva Forza Italia alle consultazioni del 2018, la metà alle europee dell’anno dopo, quelle del ritorno del Cavaliere al termine della sospensione decretata dalla legge Severino, quando racimolò 560000 voti di preferenza (erano cinque volte tanto nel 2009).
Quindi anche Berlusconi, come tutte le cose di questo mondo, va esaurendo la sua parabola, politica e non solo, e chi pensa di avere un avvenire luminoso davanti lo molla al suo destino di vecchio megalomane oltre ogni ragionevolezza. È il caso di Mara Carfagna e Mariastella Gelmini, approdate ai lidi calendiani dopo aver fiutato l’andazzo, oppure del berluschino Giovanni Toti, che ha avuto l’ardire di fondare un suo partito per restare poi comunque un satellite del pianeta Silvio, o ancora di Lucio Malan, che ha per tempo raggiunto i lidi meloniani, facendo da apripista ai più recentemente acquisiti Giulio Tremonti e Marcello Pera. Altri sono stati invece messi alla porta in base alla consapevolezza che i posti saranno pochissimi: sondaggi alla mano e con tutto il “bonus” dato dall’elezione nei collegi uninominali di candidati di coalizione, andrà di lusso se saranno eletti cinquanta deputati e venticinque senatori. E così, sono stati brutalmente purgati tutti quelli considerati vicini all’ex braccio destro Gianni Letta, mentre è andato crescendo il peso della corte dei miracoli berlusconiana ultima versione, la cricca che prospera intorno agli ultimi rantoli del padrone, con Antonio Tajani, Licia Ronzulli (più volte indicata come prossimo ministro della salute), Anna Maria Bernini e la “moglie” Marta Fascina su tutti. La campagna acquisti è stata tutt’altro che esaltante: due ex leghisti di belle speranze come Flavio Tosi e Roberto Cota, la conduttrice tv Rita dalla Chiesa, il presidente della Lazio Claudio Lotito.Sono lontani i tempi di Gullit e Van Basten.
Cos’altro può mai esserci da dire su un uomo che può vantare intere bibliografie scritte in suo nome, che ha visto descrivere le proprie pratiche sessuali in diretta televisiva, che s’è incistato in modo così profondo nell’immaginario da essere ormai considerato parte dell’arredamento, che proprio perché considerato capace di tutto s’è rivelato capace di niente? Ebbene, qualcosa c’è, e l’ha scoperto Gianni Barbacetto, che in un esilarante articolo sul Fatto Quotidiano tratta della registrazione del marchio “Berlusconi” effettuata dallo stesso Silvione nazionale presso l’agenzia dell’Unione Europea che tutela la proprietà intellettuale nel 2017: brevettando sé stesso, Berlusconi si è assicurato l’esclusiva dello sfruttamento commerciale del suo nome su un’infinità dai prodotti, dalle baionette ai cigarillos, dalle membra artificiali ai bastoni per majorette, dai telai per seghe a mano alle palle antistress. La normativa prevede che l’esclusiva su una categoria merceologica decada se in cinque anni non viene commercializzato alcun oggetto con il marchio brevettato, e l’esclusiva berlusconiana sarebbe venuta meno su tutto fuorché sulle mutande. Anche questo curioso aneddoto serve a determinare la cifra di questo tratto finale di berlusconismo eterno. E va detto che lui all’eternità, quella “scientifica” e non metaforica, ci ha sempre creduto: fra i suoi progetti del recente passato vi è la realizzazione del centro di elaborazione dati “Quo vadis”, la cui attività principale sarebbe stata il costante monitoraggio delle condizioni di salute di chi poteva permetterselo attraverso device elettronici impiantati sottopelle, permettendo, anzitutto al suo fondatore, di poter vivere fino a 150 anni e cambiare finalmente l’Italia senza l’incombenza della morte. Fra i tanti “segreti” berlusconiani di dominio pubblico, inoltre, v’è pure il fatto che avrebbe fatto installare un impianto criogenico nel mausoleo costruito nella sua villa, nell’auspicio di poter essere congelato oggi e scongelato domani. Il denaro compra anche la vita eterna: questo sarebbe il suo più degno epitaffio.
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