I gestori delle pompe di carburanti di Fegica e Figisc Confcommercio confermano lo sciopero indetto per il 25 e 26 gennaio. “Continua lo scaricabarile del governo sulla questione del caro carburante” dichiara Roberto Di Vincenzo, presidente della Fegica “dopo aver certificato formalmente il comportamento assolutamente corretto dei gestori nell’incontro della scorsa settimana, prima viene pubblicato un decreto pasticciato e senza alcuna efficacia sui prezzi, e poi si avvia una istruttoria Agcm che indagherebbe sui petrolieri non per le loro eventuali responsabilità ma perché non avrebbero sorvegliato i benzinai evidentemente rei di aver speculato sui prezzi. È una situazione grave, se non fosse ridicola.”
Il caro carburante attuale che inizia con l’arrivo del 2023, è dovuto al termine dello sconto sulle accise sul carburante introdotto dal governo Draghi a marzo dello scorso anno utilizzando l’extra-gettito a disposizione nel bilancio. Lo sconto sulle accise, durato dieci mesi, ha permesso di contenere i costi eccessivi del carburante che a marzo 2022 avevano toccato un picco record di 2,20 euro. Il nuovo governo Meloni, che aveva nel suo programma l’eliminazione di queste imposte, ha però dovuto destinare tali fondi ad altre priorità. Per questo motivo, nonostante ora le quotazioni del petrolio siano in calo e il costo reale del carburante stia dunque diminuendo, le accise tornano invece al livello antecedente al marzo 2022, aumentando il costo totale. Tali imposte insieme all’IVA vanno a costituire il 60% del costo totale del carburante e sono esclusivamente introiti dello stato, mentre solo il 40% del valore è il costo reale. L’attuale caro benzina va dunque attribuito esclusivamente ad una scelta politica.
Il governo così viene meno ad una promessa elettorale, e cerca di distrarre le masse parlando di un problema di speculazione, di cui non esiste alcuna prova.
Lo scorso anno in seguito a controlli la guardia di finanza aveva rilevato che quasi metà pompe di benzina controllate non erano in regola, tuttavia si trattava esclusivamente di infrazioni legate alla comunicazione dei costi, e non alla speculazione sui prezzi. Ora l’attuale decreto sulla trasparenza dei prezzi andrebbe a inasprire in maniera sproporzionata le sanzioni su chi non espone i prezzi corretti sui tabelloni, infrazione che non ha nulla a che vedere con il problema del caro benzina. Si tratta cioè di un accanimento esagerato nei confronti della categoria, che non ha lo scopo di risolvere il problema del caro benzina “ma solo di far passare all’opinione pubblica il messaggio che non siamo corretti” dichiara Bruno Bearzi della Figisc.
Così il governo per sopperire ad una sua mancanza, cioè l’impossibilità di abbassare le tasse sul carburante come promesso in campagna elettorale si trova a fare da scaricabarile, ad accanirsi su una categoria di commercianti, i benzinai, e ad alimentare l’odio sociale nei loro confronti per distrarre l’opinione pubblica dal problema reale, cioè l’assenza di sovranità sufficiente per effettuare scelte politiche necessarie.
AS
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