Il Qatar siamo Noi #15
La spaccatura che caratterizza la società brasiliana dalle ultime controverse elezioni presidenziali ha trovato modo di manifestarsi anche attraverso il calcio. I dimostranti che da un mese danno vita a raduni e blocchi stradali per denunciare il “furto” delle elezioni da parte del presidente Lula da Silva sono soliti indossare il canarinho, la tradizionale maglia gialla della nazionale, così come aveva fatto il loro nume tutelare Jair Bolsonaro nell’ultima fase della campagna elettorale, durante la quale aveva invitato i suoi sostenitori a recarsi alle urne col canarinho come simbolo di appartenenza. Il processo di “appropriazione indebita” del calcio brasiliano da parte dell’ex presidente Bolsonaro passa attraverso l’appoggio che gli è stato tributato dai campioni di ieri e di oggi, su tutti quel Neymar che aveva promesso di dedicare a Bolsonaro il primo gol messo a segno nella coppa del mondo. Con lui si sono schierati, all’epoca delle epocali elezioni dell’ottobre scorso, proprio quei calciatori che venivano dalle famigerate favelas e da un’infanzia difficile, come Rivaldo, Ronaldinho, Cafu (l’ex bomber Romario, già politico di lungo corso, è stato eletto deputato “bolsonarista”), mentre le voci a favore di Lula sono giunte da calciatori dal profilo più “borghese” come Walter Casagrande o Juninho Pernambucano. Con il canarinho e la bandiera verde-oro elevati a simboli di appartenenza politica, i lulisti hanno ripiegato sulle maglie blu per festeggiare i primi successi del Brasile ai mondiali qatarioti, nonostante lo stesso Lula avesse provato ad evitare lo scippo mostrandosi con un canarinho prima della partita inaugurale contro la Serbia. Mentre nelle piazze montava la protesta e i bolsonaristi provavano a cavalcare l’entusiasmo calcistico in chiave “nazionalista”, sul campo si appannava la stella di Neymar, fermatosi per infortunio dopo la prima, e prendeva a brillare quella di Richarlison, il discusso centravanti che ha risolto con una doppietta il match contro la Serbia. Richarlison si è fatto negli ultimi mesi la fama di calciatore “progressista” a suon di tweet, da quelli inneggianti al vaccino a quelli critici verso la presidenza Bolsonaro, fino agli ultimi in cui denunciava l’uso improprio delle tradizionali maglie della nazionale, e tutto ciò ha fatto sì che godesse di buona stampa nonostante le pessime prestazioni sul campo. Tite, il commissario tecnico tirato per la giacchetta da destra e da sinistra, ha sempre puntato sul centravanti “progressista”, ma non c’entra la politica: rompendo una consuetudine, ha annunciato che, comunque andranno le cose, la squadra non parteciperà a nessun incontro ufficiale, né con il presidente uscente e né con l’entrante (il passaggio di consegne è previsto a gennaio). Nella vittoria di ieri contro la Corea del Sud, battuta per 4 a 1, hanno segnato sia Neymar e sia Richarlison, ed entrambi si sono scordati di Lula e Bolsonaro per dedicare la vittoria a Pelè, che si trova in fin di vita a causa del cancro che da tempo l’affligge e del covid, che da quando Lula è stato rieletto è tornato a prendersi le prime pagine. Pure Pelè , che era stato anche ministro dello sport con Cardoso negli anni ’90 e che è da sempre organico alle élite brasiliane, è stato un sostenitore di Bolsonaro, ma chi se ne importa: tutto il Brasile si unisce al suo capezzale. La Seleção vola verso il sesto titolo della sua storia, a vent’anni dall’ultima volta, mentre O’ Rey vola verso l’altro mondo (col sorriso, come si vede dalla foto) : ce n’è abbastanza per un ecumenico romanzo popolare e per trasformare quella che sembrava una guerra civile in una sfilata di carnevale.
GR
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