Marco Di Mauro
Avanti.it
La mattina del 4 ottobre una trentina di coloni israeliani si è presentata davanti ai cancelli della Scuola Superiore Maschile di Huwwara, a sud della città palestinese di Nablus, in Cisgiordania, armata di pistole, mazze e altri oggetti contundenti. Dopo aver vandalizzato le auto degli insegnanti, hanno fatto irruzione nella struttura, pestando indiscriminatamente studenti e professori, scagliando una vera e propria sassaiola sulle vittime indifese, minacciate a pistola spianata da un colono mentre gli altri bravi ragazzi finivano col mettere a soqquadro le aule e fracassare i vetri delle finestre. Due ragazzini, di sedici e diciassette anni, sono finiti in ospedale con ferite da taglio e da pietre, insieme a molti altri che hanno dovuto inalare i gas lacrimogeni sparati all’interno della scuola dalle Israeli Defense Forces, intervenute alla fine dell’assalto a mettere la ciliegina sulla torta. Si tratta di uno solo dei sempre più numerosi attacchi che vedono branchi di giovani civili israeliani, con kippah bianca e mascherina chirurgica, attaccare i residenti palestinesi della Cisgiordania con pistole, pietre, spranghe, manganelli e spray al peperoncino, protetti dall’esercito che spesso gli dà anche man forte sparando improbabili ‘colpi d’avvertimento’ ad altezza d’uomo. A quanto riferisce lo Human Rights Watch, esponenti politici israeliani di alto livello hanno incoraggiato “i soldati e la polizia israeliani a uccidere i palestinesi sospettati di aver attaccato gli israeliani anche quando non rappresentano più una minaccia” e l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha rilevato nei suoi rapporti che le forze israeliane “spesso usano armi da fuoco contro i palestinesi per mero sospetto o come misura precauzionale, in violazione degli standard internazionali”. Nulla di nuovo sotto al sole: da quando, all’inizio di quest’anno, il governo ultra-nazionalista dell’ex premier Naftali Bennett, insieme al suo ministro degli esteri Yair Lapid (ora premier ad interim) e il ministro della difesa Benjamin Gantz hanno alzato enormemente il livello di discriminazione del popolo palestinese, avviando a pasqua di quest’anno l’occupazione del Monte del Tempio, storicamente riservato ai palestinesi, provocando la risposta dei legittimi occupanti delle terre del posticcio stato d’Israele, avamposto dei Rothschild in Medio Oriente, e avviando un’escalation di violenze e soprusi che non accenna a diminuire. Finora, sono state più di 160 le vittime accertate da parte araba – un numero cinque volte superiore a quello dell’anno scorso, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari – di cui 51 soltanto durante i tre giorni di bombardamenti di Gaza di quest’estate, diverse centinaia i feriti e ancor di più gli arresti, tanto che al 2 ottobre, secondo la ONG israeliana HaMoked, erano 798 i palestinesi detenuti nelle carceri degli occupanti, senza processo né accuse a carico, il numero più alto dal 2008. Gli arresti sono effettuati non soltanto dalle IDF, ma anche dalla stessa Autorità Palestinese – quel che rimane dello stato sovrano occupato illegalmente nel 1967, e la cui giurisdizione si applica soltanto alla Striscia di Gaza e la Cisgiordania – che ingaggia spesso anche scontri a fuoco con i gruppi di resistenza, in ottemperanza alla legge locale secondo cui è vietato possedere armi. Queste, per lo più provenienti dall’Iran tramite il Libano e la Giordania, hanno cambiato il volto di questa Terza Intifada, consentendo al popolo palestinese di effettuare una resistenza più efficace, pur continuando a sussistere l’indicibile sproporzione con Tel Aviv, uno tra gli stati maggiormente avanzati al mondo sul piano militare, ma le truppe israeliane non penetrano più come burro nei villaggi palestinesi. Numerosissimi sono i nuclei armati formatisi solamente quest’anno e che, a differenza di quelli storici come Fatah, Hamas, PIJ (Palestinian Islamic Jihad) e PFLP (Popular Front for the Liberation of Palestine noto in patria col nome arabo al-Jabhah al-Sha`biyyah li-Taḥrīr Filasṭīn) da cui peraltro la maggior parte dei guerrieri di questi nuovi gruppi è fuoriuscita, non hanno alcuna velleità di potere politico o religioso, ma l’unico obiettivo di contrastare l’occupazione del regime sionista. È soprattutto il crollo di popolarità dell’Amministrazione Palestinese gestita da Fatah, dimostrato ampiamente con le ultime elezioni in cui ha pagato lo scotto della sua cooperazione con le forze occupanti, che ha favorito la nascita di un gran numero di organizzazioni sorte in seguito all’incremento della violenza del regime sionista. La maggiore concentrazione di questi gruppi è al nord della Cisgiordania, nelle città di Jenin e Nablus, che sono difatti oggetto di quotidiani raid notturni delle IDF, che effettuano arresti, uccidono militanti e presunti tali, demoliscono case con ruspe, razzi o bombe, ma non riescono a debellarli, e ingaggiano lunghe battaglie negli stretti vicoli di Jenin, dove oltre alle pietre trovano ad attenderli stavolta anche le pallottole. Il gruppo che più sta facendo parlare di sé è ʿArīn al-ʾUsud, che ha la sua base operativa nella città vecchia di Nablus, conosciuto in occidente col nome inglese di Lions’ Den, nato a luglio di quest’anno e finito sotto i riflettori secondo Wikipedia (che ha redatto la voce «Lions’ Den» proprio dieci ore fa) in occasione dell’assassinio del militante Ibrahim al-Nabulsi, detto “Il leone di Nablus”, mentre Al Jazeera fa risalire la prima azione alla luce del sole del gruppo alla manifestazione di Nablus del 2 settembre, organizzata dai Leoni per commemorare due guerrieri della PIJ uccisi a luglio. Ormai celebre tra le vittime dell’occupazione sionista, il gruppo da settembre tiene occupate le truppe del regime con incursioni armate contro i check-point e e le truppe che proteggono manifestazioni e assalti dei coloni. Tra Jenin e Nablus i gruppi di resistenza sono divenuti progressivamente più organizzati e meglio armati, a fronte dell’aiuto iraniano e con l’esperienza maturata resistendo agli assalti quotidiani alle loro case, tanto che a settembre e ottobre si sono contati sempre più numerosi attacchi palestinesi contro le IDF, in un incremento che ha preoccupato il trio Lapid-Bennett-Gantz, che si è dovuto più volte riunire con lo stato maggiore dell’esercito per ricalibrare la strategia. Finora, gli occupanti hanno evitato invasioni in grande stile nelle due città, preferendo operazioni chirurgiche e continue, mirando a tenere i resistenti arabi in perenne stato difensivo, e in quest’ottica strategica il pesante attacco di Gaza è servito da monito e deterrente per chi organizzava la resistenza nella West Bank (nome anglosassone della Cisgiordania). Ma l’effetto ottenuto è stato esattamente l’opposto.
All’inizio di questo mese c’è stata una nuova escalation. Dopo un fine settimana che aveva visto la morte di quattro adolescenti palestinesi, due a Jenin, uno a Ramallah e il più piccolo, quattordicenne, a Qalqilya, la sera di sabato 8 ottobre al check-point del campo profughi di Shoafat, presso Gerusalemme Est, il ventiduenne Udai Tamimi è uscito dalla propria auto pistola alla mano e ha aperto il fuoco sui soldati, uccidendo la diciottenne Noa Lazar e ferendo gravemente un altro soldato; hanno rivendicato l’attacco sia le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa sia le Brigate Al-Nasser Salah al-Deen, mentre secondo altre fonti si trattava di un singolo senza alcuna affiliazione, e nelle ultime settimane è venuto fuori che siano stati i Lions’ Den. La risposta israeliana è stata, come ci si aspettava, durissima: il campo profughi è stato battuto palmo a palmo, con fucili spianati e lacrimogeni sotto la sassaiola dei palestinesi. Poche ore prima dell’attacco c’erano stati scontri presso la Porta di Damasco, quando la polizia era stata accolta dai sassi dei fedeli che celebravano il compleanno di Maometto. Il giorno seguente, le truppe israeliane avevano imposto un blocco totale del campo di Shuafat e della zona circostante. Al rimbalzare della notizia della morte del soldato, il martedì e mercoledì seguenti i coloni israeliani hanno risposto organizzando bande armate di fucili, pietre e spranghe e aggredendo i residenti, vandalizzando le loro abitazioni e negozi a Huwarra, cittadina a sud di Nablus. Attaccati a Nablus e tenuti in ostaggio ormai da quattro giorni, i 130mila palestinesi che vivono nell’area bloccata mercoledì hanno organizzato uno sciopero e fatto una chiamata generale a tutti i propri connazionali, che tra mercoledì e giovedì hanno manifestato in massa contro la polizia in una ventina tra quartieri, cittadine e villaggi in tutta la Cisgiordania, e durante gli scontri è stato ucciso dalle truppe di regime il diciottenne palestinese Osama Adawi nel campo rifugiati di Arroub, a nord di Hebron. Al mattino di giovedì il blocco era stato parzialmente revocato, ma la sera il solito gruppo di coloni, scortati dall’esercito, al grido di “Morte agli arabi!” ha attaccato i residenti e le loro proprietà nel quartiere palestinese di Sheikh Jarrah, punto nevralgico di Gerusalemme Est, facendo venti feriti, di cui cinque ospedalizzati, per fratture causate da pietre e manganelli, mentre la polizia ha arrestato dieci giovani colpevoli di aver cercato di difendersi; tra loro, secondo quanto riportato ad Al Jazeera da alcuni giornalisti locali e mostrato in un video sull’account Twitter dell’organizzazione non profit Canadians for Justice and Peace in the Middle East, vi era il parlamentare della Knesset e notissimo politico della destra israeliana Itamar Ben-Gvir che, estratta una pistola si è rivolto così ai coloni: “Se tirano le pietre, sparategli” e in effetti colpi d’arma da fuoco sono stati esplosi sia dai civili che dai soldati, senza stavolta colpire nessuno.
Sono almeno 250 le colonie illegali impiantate dagli israeliani nella Cisgiordania e nel territorio di Gerusalemme Est, dove vivono circa 750mila coloni, e nei pressi di una di queste proprio martedì 11 c’era stato un nuovo attacco palestinese, a Shavei Shomron, sulla strada tra Jenin e Nablus: un guerriero dei Lions’ Den ha aperto il fuoco da un’auto in corsa contro i soldati che scortavano una nuova marcia di coloni armati intenzionati ad assaltare la cittadina palestinese di Sebastia, uccidendo un altro soldato israeliano, il ventunenne Ido Baroukh: “Annunciamo l’esecuzione di una seconda operazione di tiro contro i soldati dell’occupazione nell’area di Deir Sharaf, a ovest di Nablus”, ha dichiarato il gruppo sul suo canale Telegram che arriva a 130mila iscritti. Ad oggi però è salito a cinque il numero di capi e fondatori dei Leoni uccisi dalle IDF, e la sproporzione di forze continua a essere immane, difatti le città epicentro della resistenza hanno continuato a subire ogni notte pesanti attacchi da parte delle IDF, i raid notturni sono stati 145 soltanto dal 27 settembre al 15 ottobre, e proprio martedì scorso altri sei giovani palestinesi sono stati uccisi dai soldati israeliani, mentre a French Hill, un quartiere di Gerusalemme Est, un ventitreenne israeliano è stato ferito gravemente con un coltello da un sedicenne arabo, in un clima che sfocia sempre più nella guerra civile, e che il governo di Tel Aviv, responsabile di tutto questo e maggiore carnefice, non ha alcuna intenzione di smorzare.
Lupo dice
Grandi leoni palestinesi. Stanti i fatti con gli ebrei sionisti non bisogna avere nessuna pietà.
Ali dice
Gli auto proclamati vincitori della seconda guerra mondiale, in particolare USA e Zion, stanno per ricevere un duro colpo.
Andrea dice
I coli sono diventati tali su precisa programmazione del governo centrale fascista, razzista e Nazista Ke tali comportamenti sono la stessa cosa che Hitler adoperava con gli Ebrei per cui hanno perso memoria e rispetto verso chi era già su quella terra prima di Loro. Fanno schifo ed è pietoso sapere che c’è l’aiuto e la complicità della polizia su ordini politi di chi governa. Tra loro e gli USA in fatto di DELINQUENZA nn c’è un filo di differenza. Dov’è il Mainstream Internazionale pagato e sottomesso da potenti??? Dobbiamo divulgare queste schifose brutalità.