È cominciata così: lunedì le Israeli Defence Forces, in uno degli ormai tristemente consueti raid notturni che ormai da aprile sconvolgono le principali città della Cisgiordania con retate, arresti, demolizioni di case e omicidi, hanno arrestato a Jenin un comandante della Palestinian Islamic Jihad, Bassam al Saadi. Sono seguite, come da altra triste consuetudine, le solite minacce da parte palestinese, cui non seguono che blande risposte. Ma stavolta il governo israeliano le ha prese sul serio, e ha iniziato a bombardare in forma preventiva quelli che lo stato maggiore dell’esercito ha definito obiettivi jihadisti: abitazioni, scuole, persino l’ospedale di Gaza City che oggi, primo giorno di fuoco cessato dopo quasi una settimana di bombe ininterrotte, è ancora senza corrente elettrica e incapace di curare le centinaia di feriti giunti in questi giorni.
Il PIJ ha risposto lanciando centinaia di razzi, che tuttavia non hanno nemmeno scalfito il pelo della bestia, dandole solo modo di esibire i propri avanzatissimi sistemi di difesa, primo su tutti Iron Dome, sofisticato scudo laser capace di intercettare i razzi nemici da lunga distanza, dando tutto il tempo alla controffensiva di neutralizzarli. E non solo: ha dato il pretesto al governo israeliano di effettuare la sua sanguinaria risposta, con massiccio impiego dei jet delle Israeli Air Forces, che hanno messo letteralmente in ginocchio Gaza. Dopo quattro giorni di bombardamenti, il bilancio è disastroso: 44 morti civili finora reperiti, di cui 15 bambini, e circa trecento feriti. Il taglio delle vie di comunicazione verso la striscia ha fermato l’attività della centrale elettrica per mancanza di carburante, lasciando gli ospedali al collasso, saturi di feriti e impossibilitati a curarli.
Nonostante già ieri fosse più che colmato l’orlo del collasso umanitario, la cabina di regia degli occupanti sionisti, presieduta dal primo ministro Yair Lapid, dal ministro della difesa Benny Gantz e dallo stato maggiore dell’esercito, ha ignorato gli appelli dell’Egitto prima e della Russia poi di fermare un attacco tanto vile nelle intenzioni e sproporzionato nei mezzi. I bombardamenti si sono concentrati su Jabalia e Rafah e sui civili palestinesi, mentre la risposta del PIJ ha solo danneggiato qualche auto nelle colonie più prossime alla striscia.
Nonostante la caduta del governo Bennett, Tel Aviv ha aggiunto un altro tassello alla sua politica estera aggressiva. Da quest’anno infatti, per la prima volta dagli accordi che stabilivano l’accesso ai soli musulmani alla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, gli israeliani vi hanno concesso, scortati dalla polizia, l’accesso agli esponenti dell’estrema destra locale, dando inizio alla Terza Intifada, corollata da un’aggressione senza precedenti da parte di Israele sia in Cisgiordania che a Gerusalemme Est, dove sono aumentati arresti e demolizioni di case dei palestinesi. Come se non bastasse Yair Lapid, che da ministro degli esteri è passato alla posizione di capo del governo ad interim fino alle elezioni che ci saranno a ottobre, ha compiuto una mossa decisamente in linea con la condotta dei governi precedenti in prossimità dei seggi. In Israele infatti, come nell’antica Roma, la reputazione elettorale si costruisce manu militari, e Lapid con questa strage ingiustificata e indiscriminata si è appuntato al petto una stelletta importante in vista della sfida con la fazione avversa, quella di Benjamin Netanyahu, che infatti è stato l’unico in Patria a stigmatizzare l’accaduto.
Non c’è pace per il popolo palestinese, per il quale si prospetta negli anni venti una delle pagine più nere di quella che è una delle guerre più lunghe e spietate della storia del Medioriente.
Luigia Giulia dice
Quando leggo queste notizie mi sento molto arrabbiata frustrata e inerme
Brutte sensazioni.