Marco Di Mauro
Avanti.it
Sono ormai giorni che rozze imbarcazioni di fortuna fanno la spola tra le rive del Dnepr, guidate da temerari caronti che rischiano la vita propria e dei passeggeri, nascondendosi il più possibile alla vista delle truppe ucraine. I civili russofoni di Kherson, quelli che per scelta o per impedimenti di vario genere non sono andati via con le fasce rosse, attraversano il fiume in fretta, prima che ghiacci, e alla bell’e meglio, lasciando nelle case tutti i loro averi, compreso il bestiame, per raggiungere i territori novorussi e sfuggire alla persecuzione beffarda e implacabile cui vengono sottoposti in massa dal regime di Kiev. Per non finire legati ai pali della luce col nastro adesivo a morire di fame e di freddo, o chiusi in casse di legno per essere ‘regalati’ come trastullo ai manipoli avidi di sangue, o caricati su camion ed esposti, con il nastro adesivo a coprirgli occhi e orecchie e intrappolargli mani e piedi, al ludibrio della folla e alla violenza delle truppe. Dove prima era una città popolosa e prospera alla foce del Dnepr, oggi è un succedersi di relitti semiabbandonati dove manca la corrente elettrica e i pochi residenti, prostrati dalla miseria e dalla totale assenza di infrastrutture, raccolgono l’acqua dalle pozzanghere, ma il governo non fa mancare nelle vie e piazze principali quasi ogni giorno manifestazioni e parate militari cui la cittadinanza è tenuta a partecipare per non essere bollata come collaborazionista. Ma nemmeno le Forze Armate dell’Ucraina se la passano bene: la sede cittadina dei servizi segreti, così come la stazione di polizia, è stata minata dai russi, ed è inservibile, come tutti territori riguadagnati da quelle che la propaganda occidentale chiama le controffensive ucraine, ma che altro non sono che avanzamenti in zone abbandonate dal nemico, in seguito alle ritirate strategiche dei russi, che ottemperano alla strategia attendista e che tendente a ridurre al minimo le perdite degli strateghi del Cremlino.
Ma la miseria di Kherson è lo specchio dell’intera nazione: l’economia interna ucraina è al collasso, con la disoccupazione che supera il 35% e il tasso di povertà che per l’inizio dell’anno venturo è previsto toccare il 25% – nel 2020 era del 2,5% – mentre le infrastrutture distrutte ammontano al 40%, nel cui computo figura più della metà di quelle energetiche: a Odessa venerdì scorso i cittadini sono scesi in piazza per protestare contro i continui blackout che stanno mettendo in ginocchio la popolazione. Se la guerra continuerà, come è molto probabile, fino al 2024, secondo le stime scenderà sotto la soglia di povertà più della metà dei cittadini ucraini.
Tornando sul fronte di Kherson, le truppe ucraine si ritrovano nell’incapacità di avanzare, nonostante il poderoso ammassamento di truppe compiuto nell’ultimo mese, a causa dei continui attacchi di deterrenza dell’artiglieria russa, che prendono di mira le postazioni ucraine a Mylovy, Antonovka e Černobaevka e stanno consentendo all’esercito di consolidare le posizioni, realizzare trincee e fortificazioni, organizzare la logistica militare lungo tutta la linea del Dnepr, oltre che di ultimare la traduzione dei depositi e quartier generali in luoghi al di fuori della gittata delle batterie semoventi HIMARS della NATO. Non trovando modo di sfondare a Kherson, le truppe gialloblu hanno concentrato uomini e mezzi a Energodar, decisamente intenzionati a compiere una sortita su Zaporižžja: qui le bombe russe hanno distrutto sabato 19 novembre le officine di produzione e riparazione delle attrezzature aeronautiche Motor Sich, ma proprio da qui gli ucraini hanno fatto decollare quattro droni sconosciuti fino ad allora ai genieri nemici, in quanto di nuova fabbricazione che imita i Geran, micidiali droni russi kamikaze, e sono riusciti a sorvolare verso sud, volando a 60 metri da terra allo scopo di terrorizzare i civili, fin nelle vicinanze di Melitopol, dove sono stati abbattuti; a preoccupare i russi il fatto che, pur essendo fabbricazioni di fortuna, sono realizzati con pezzi americani e giapponesi, di cui i depositi ucraini abbondano. Inoltre, sempre nella stessa zona si sono intensificati pesantemente i bombardamenti ucraini in direzione dei reattori della centrale nucleare più grande d’Europa, e proprio domenica è stato colpito un impianto di raffreddamento causando una fuoriuscita di materiale non radioattivo, confermando ancora una volta (come le bombe sulla diga di Nova Kakhovka) che le AFU combattono in patria come in un paese straniero, incuranti delle conseguenze di gesti di una gravità inaudita.
Il motivo è semplice: l’esercito ucraino non serve il proprio paese, ma gli Stati Uniti; i suoi generali, il suo stato maggiore, sono de facto stranieri; i soldi che lo finanziano, le armi con cui combatte, sono straniere; ma soprattutto, nonostante questa situazione riesca il più possibile a esser celata dal fatto che gli unici a registrare i video che girano sono i pochi ucraini rimasti a combattere, più della metà dei soldati che combattono sono mercenari stranieri. Oltre alle numerose prove fotografiche, è stata diffusa pochi giorni fa dal ministero della difesa russo una notizia direttamente dal fronte nord-est, quello tra il Donbas e gli oblast’ di Kharkov e Dnipropetrovs’k: secondo le testimonianze dei soldati russi, le comunicazioni intercettate dal fronte nemico sarebbero sempre in lingua polacca o inglese, e l’indagine più accurata che ne è seguita ad opera dell’intelligence di Mosca ha appurato che, soltanto sul fronte nord, sarebbero almeno 10mila le truppe polacche dispiegate in Ucraina. Se si venisse a scoprire che questi uomini fanno parte dell’esercito regolare della Polonia, allora sarebbe chiaro una volta per tutte che non c’è alcuna guerra russo-ucraina, ma una guerra della NATO contro la Russia. Oltretutto, la Polonia ha creato un incidente diplomatico proprio ieri, negando l’ingresso nel proprio paese al ministro degli esteri russo Sergej Lavrov per partecipare alla riunione del Consiglio ministeriale dell’OSCE che si terrà l’1 e il 2 dicembre nella città di Lodz: una pura provocazione personale, dato che comunque non si può negare a un paese la partecipazione, e così la delegazione di Mosca sarà presieduta da Alexander Lukashevic, rappresentante permanente della Russia presso l’OSCE. E proprio quest’ultima, la storica organizzazione internazionale per favorire la diplomazia tra i paesi in conflitto e tutelare la sicurezza dell’area europea, è stata accusata venerdì scorso dalla portavoce del ministero degli esteri russo Maria Zakharova di attività di spionaggio illegale in favore dell’Ucraina, in un comunicato che accusa lo staff della Missione di Monitoraggio Speciale, terminata il primo aprile di quest’anno: «È ormai noto che gli osservatori hanno fornito i dati delle telecamere della SMM all’esercito ucraino per orientare il fuoco dell’artiglieria e rilevare i movimenti delle attrezzature e le posizioni delle milizie popolari della RPL e della RPD. La missione ha anche fornito una copertura alle guarnigioni dell’esercito ucraino e ha raccolto dati per i servizi segreti occidentali […] nascondendo i crimini di guerra dell’esercito ucraino e screditando deliberatamente le milizie di Doneč’k e Luhans’k […] in violazione del mandato, la leadership dell’SMM si è rifiutata di stabilire linee di comunicazione con le autorità locali della RPD e della LPR o di monitorare la situazione dei diritti umani nei territori controllati da Kiev, nonostante i numerosi e scandalosi casi di violazione dei diritti della popolazione russofona e della libertà di stampa.” (TASS)
Il fronte più sanguinoso è certamente quello del Donbas, dove, se a nord continua il contenimento degli attacchi ucraini sulla linea Svatovo-Kreminna con ingenti perdite da parte del nemico, al confine meridionale del Luhans’k i russi hanno iniziato, con l’ausilio dei battaglioni Kadyrov e Wagner, un assalto congiunto che ha fatto avanzare da più punti tutta la linea del fronte, creando una nuova linea d’attacco che va da Yakovlivka a Bakhmut, Artemivsk, Opytny, Kleščeevka, e attraverso Zelenopillya, Pervomajs’kij, Vodyany e Novomykhailivka arriva alla città di Doneč’k, dove infuria tuttora la battaglia per Maryinka, che le unità motorizzate di fucilieri russi stanno strappando agli ucraini palmo a palmo, aiutate dagli aerei d’attacco Su-25 che bombardano le postazioni nemiche nella periferia nord-ovest della città. Poco a sud di Novomykhailivka, che costituisce l’estremità meridionale della linea d’attacco, i russi hanno sfondato la linea ucraina a Vuhledar. Le battaglie procedono tuttavia lentamente e faticosamente, e proprio su questo fronte, a Makeevka, è avvenuta la strage di prigionieri russi ad opera delle milizie ucraine (tra di loro accertata la presenza del mercenario americano Chris Naganuma, ex militare inviato per addestrare i mobilitati ucraini) che, pubblicata sui social con due filmati dagli stessi ucraini e negata da più parti, è stata infine confermata proprio oggi da un terzo filmato in cui si vedono effettivamente le AFU ammazzare uno a uno i soldati della RPD (riconoscibili dalle fasce rosse al braccio) mentre erano stesi a terra con le mani sulla testa. D’altro canto, le perdite ucraine ammontano a circa 2500 solo nell’ultima settimana, e nulla lascia presagire che la strategia degli assalti alla disperata venga quantomeno aggiornata dai vertici nato: tra bombe, pulizia etnica, fame e sete, un’intera generazione di giovani ucraini sta venendo cancellata dalla faccia della terra. Ma per i sostenitori, locali e non, dello Slava Ukraini, questo è un fatto di nessun interesse.
Angelo dice
Pensando agli stratosferici aiuti in armi e dollari elargiti da USA ed Europa alla nazi-democrazia ucraina … mi viene il voltastomaco. Mi vien da pensare che la nazidemocratica superpotenza americana abba sacrificato migliaia dei suoi soldati soltanto per spazzare via il nazismo germanico per prenderne il posto …