Riccardo Giordano
Avanti.it
Come si è già avuto modo di scrivere, la politica di continua emergenza, a cui stiamo assistendo negli ultimi anni, ha come scopo primario quello di riprogrammare l’uomo (nella visione di chi tiene le leve del potere, infatti, l’uomo non deve esser altro che una macchina). Non esiste la prigione perfetta, come la storia ci insegna, ma esiste lo schiavo perfetto, cioè l’individuo che scambia la paura per libertà e contribuisce a costruire le proprie catene. Pensiamo, ad esempio, alle chiusure pandemiche – il nuovo modello di vita, di cui si è subito parlato, basato sul distanziamento sociale e sul sospetto – e ai danni psicologici che hanno prodotto in chi, educato a non pensare per star dietro ai ritmi frenetici del modello consumista, si è trovato improvvisamente a dover fare i conti con se stesso. La tecnica della manipolazione psicologica poggia sul passare da un eccesso all’altro in maniera improvvisa, tanto da creare uno shock, uno stato di caos, per mezzo del quale si ha accesso alla mente profonda del soggetto.
In un tale quadro, appare evidente che ogni tentativo di opporsi materialmente, sul piano dell’azione esteriore, alla corrente del pensiero unico risulta perdente in partenza: l’impulso a reagire, nella maggior parte dei casi dettato dalla risposta istintiva a uno stimolo indotto, come in un gioco di specchi, non fa altro che rendere ancor più reale ciò che si vuole combattere. Il potere, infatti, si nutre vampiricamente dell’energia emotiva della folla: perciò ha bisogno di stimolarne la rabbia ma, contemporaneamente, di nutrirne la speranza convogliandone la reazione nella direzione voluta. I politici sono attori che recitano un copione che altri (i signori della finanza senza patria) hanno scritto per loro: l’unica loro preoccupazione deve essere quella di interpretare al meglio la parte, di renderla credibile. Poco conta la coerenza della trama, poco conta se si passa – con la velocità del fulmine – dal terrore per un’influenza alla spavalda accettazione di una catastrofe nucleare: il pubblico, ammaestrato, non baderà a queste cose per essere attratto, invece, dal sentimentalismo della vicenda. Tuttavia, oggi è urgente comprendere una cosa: il potere, contrariamente a ciò che certa letteratura complottista (che non a caso ha sempre ampi canali di diffusione) vorrebbe farci credere, non è un essere onnipotente, non può tutto. La sua forza trae origine dalla nostra passività, dall’inconscio bisogno di credere, di dipendere da qualcuno, che caratterizza le nostre coscienze addormentate. La vicenda del Covid, da questo punto di vista, è stata esemplare: quel che è stato fatto, le gravissime quanto inutili limitazioni della libertà individuale, sono state tratte dall’inconscio collettivo della folla. Ciò che accade fuori è uno specchio di ciò che abbiamo dentro, una proiezione di ciò che si agita nel profondo della nostra psiche. Esattamente come accade in un sogno, la cosa più importante da fare, la sola che veramente conta, è svegliarsi, mutare stato di coscienza: ogni altra azione, in quanto parte del sogno, non fa che renderlo ancora più reale.
Agire su se stessi, impegnarsi nel miglioramento di sé, è, oggi, il solo atto veramente rivoluzionario. Imparare a non lasciarsi toccare da ciò che accade intorno a sé, realizzare uno stato di inviolabilità interiore, di distacco, tale da portarsi nel proprio centro profondo, stabile, dove poter ascoltare la voce del nostro vero io. Chi giunge a sperimentare un tale stato di calma, a porsi nella vita come individuo cosciente, è il solo in grado di azione pura, di un agire libero da ogni condizionamento, capace di dedizione assoluta e di donarsi senza chiedere nulla in cambio: questa azione è Amore che vince ogni cosa, la presenza viva del fuoco dello spirito che, come insegna il Christo, fa nuove tutte le cose. Bisogna bene intendere, però, che quando si parla di “distacco” non ci si riferisce a una fuga dal mondo, a ritirarsi nella torre eburnea della propria sovranità interiore, al contrario: si tratta di “cavalcare la tigre”, di assumere la realtà sub specie interioritatis, di affrontare i fatti come esperienze interiori che occorre padroneggiare e trasmutare. Si può lottare nelle piazze per la propria libertà, si possono denunciare le ingiustizie di un mondo dominato dall’interesse e dall’usura, si può ragionare contro il pericolo del transumanesimo che vuol far dell’uomo un robot, si possono denunciare pubblicamente i pericoli e le follie del pensiero unico che spersonalizza e massifica tutto e tutti, eppure tutto questo non servirà a nulla se prima non è stato vinto il seme di tutte queste cose che alberga nell’intimo della nostra anima.
Posso invocare la libertà se io per primo sono schiavo delle mie passioni, se sono incapace di darmi una disciplina che mi permetta di essere veramente padrone delle scelte della mia vita? Posso denunciare gli abusi della logica dell’interesse e del profitto, se io per primo mi lascio trascinare di brama in brama, come un naufrago in balia delle onde, sempre in balia del desiderio cieco, selvaggio, ebbro, mai sazio di sé? Posso io parlare contro le follie transumaniste, se io per primo sono prigioniero dei processi meccanici del pensiero agitato, scomposto, che si ripete schematicamente senza alcuna coscienza del suo stesso movimento, della sua stessa forza e vita? Posso io scagliarmi contro il dogmatismo del pensiero unico, della massificazione imperante, quando io per primo sono estraneo a me stesso, sempre distratto dal vociare caotico del mondo e incapace di ascoltare la parola che sgorga dal mio interiore, di distinguere tra le proiezioni della personalità e il carattere del mio vero Io?
Disciplina interiore: ecco la stella polare che deve guidare la nostra esistenza. Specialmente in tempi come quelli che stiamo vivendo. Perché se non saremo noi a formare noi stessi, ci sarà qualcun altro a farlo. Chi non si costituisce come centro, è inesorabilmente destinato ad orbitare attorno al centro di qualcun altro. L’uomo non è ciò che mangia, a meno che non siamo noi a scegliere di esserlo. L’uomo non è un robot schiacciato nell’orizzonte materialista, a meno che non sia lui a crederlo. Noi siamo ciò pensiamo, ci avverte la dottrina ermetica: noi siamo ciò che il pensiero meccanicamente condizionato dall’inconscio ci impone di essere; ma siamo capaci di divenire ciò che il pensiero, divenuto libero e padrone di se stesso, è in grado di percepire nella luce della sua essenza metafisica – il mondo delle idee di platonica memoria, degli archetipi viventi – se ci dedichiamo con paziente determinazione all’arte della concentrazione. La chiave della nostra liberazione, dunque, sta nell’imparare a pensare, tanto da poter trascendere il pensiero stesso: padroneggiare a tal punto il suo intimo movimento da far sì che esso divenga oggetto della nostra stessa contemplazione. Allora il pensiero trascende se stesso, diventa altro: questo è il segreto della concentrazione di cui, però, ci occuperemo la prossima volta.
In copertina: Luciano Ventrone, Prigioniero di se stesso, 1973
Maurizio dice
Ottimo.