Davide Miccione
Avanti.it
Un lettore attento, in un post di commento al nostro articolo Italiano, il catalogo è questo, faceva notare come i guadagni correlati alla imponente sostituzione del parco auto europeo e in prospettiva dell’intero pianeta non erano il fine della attuale impressionante accelerazione del passaggio dai motori termici alla mobilità elettrica. Il lettore proponeva invece come scopo più plausibile l’appiedamento, con i suoi corollari di dipendenza e controllabilità, di una grossa parte, quella subalterna economicamente, della popolazione. Chi scrive si era più prudentemente attenuto alla “tradizionale” lettura attenta ai profitti del capitale e alle manovre per ottenerli. Per brevità? Per distrazione? O forse per una riserva mentale su questa chiave interpretativa? La risposta sulle vere intenzioni della scrittura non è semplice, neppure quando riguarda se stessi e non è semplice neanche la questione più generale entro cui questo quesito si iscrive.
Ci troviamo tra una vecchia idea del capitale come realtà basata sul profitto che ne persegue un aumento infinito subordinando ad esso ogni altra considerazione di ordine etico e finalistico e ogni altro intento (buono o cattivo che possa per noi essere) e la nuova idea di un capitalismo che persegue una precisa nuova antropologia e una precisa forma del vivere associato umano. Nello spazio tra i due probabilmente si gioca, in questo momento, la differenza tra una lettura “classica” del potere da parte di chi nettamente vi si oppone, figlia perlopiù del pensiero marxista, e la nuova galassia che va, a volte acutamente altre malamente e confusamente, coagulandosi. Che la si chiami cultura del dissenso o antisistema e che il potere, in malafede e purtroppo in alcuni casi con ragioni fornite dall’avversario, cerchi di spingerla fuori dal dibattito costruendo un vocabolario antipolitico che la metta fuori gioco (no vax, putiniani, complottisti eccetera) non cambia la forza teorica e pratica della questione. Bastano le ragioni economiche a spiegare tutto ciò che sta accadendo?
Di certo la difficoltà a determinare gli scopi del sistema è una delle caratteristiche dell’attuale situazione e, per chiunque abbia sofferto l’enormità degli eventi recenti e le ricadute sulle vite individuali, oggi capire cosa sia successo e perché è un’esigenza fortemente sentita. A fronte di questa domanda criteri d’interpretazione religiosi, teologici, esoterici, geopolitici, transumanisti, elitistici, etnici si susseguono, con una certezza sbandierata dagli interpreti le cui griglie di comprensione però si moltiplicano e a volte si contraddicono tra di loro e in se stesse. Per questo, a volte, anche quando possa sembrare di aver identificato i contorni di un disegno nei fatti degli ultimi anni e certamente possa essere euristicamente fruttuoso inserire ipotesi sui possibili fini verso cui essi vanno orientandosi, forte è la tentazione di attenersi alla più classica interpretazione che vede nel profitto l’unico dio perseguito.
Le contraddizioni tra le varie teorie interpretative sugli eventi non chiudono la questione, semmai consigliano altre domande. Ci si potrebbe ad esempio chiedere perché per così tante persone la lettura economicistica non sia più sufficiente. Eppure, a seguire i flussi di denaro, le squilibrate politiche pandemiche (tutte, dai lockdown al monolatrismo vaccinale) hanno arricchito chi dovevano arricchire e in enorme misura: le aziende farmaceutiche coinvolte nelle questioni vaccinali di questi ultimi anni, Amazon, i servizi di streaming, videochiamate e e-commerce conseguenti al trasferimento forzato digitale dei “confinati”, gli scienziati a gettone eccetera. Chi non ritiene di fermarsi a questo livello esplicativo non pensa che i guadagni non vi siano quanto che essi non siano sufficienti a spiegare le strategie del potere. Evidentemente scorgono un’eccedenza che rende insufficiente una lettura basata sulla sola sfera dell’economia.
Potremmo spiegare questa persuasione di insufficienza delle spiegazioni economicistiche, per molti, in termini di sola storia delle idee, cioè annotare il collasso della cultura marxista in Italia e la sua liquidazione e trarne l’ovvia constatazione della ormai scarsa frequentazione di una lettura sistemico-economica delle scelte politiche mondiali. Oppure si potrebbe registrare il fatto che la provenienza culturale e politica dei dissidenti di rado sia partita in questi ultimi anni da sinistra e che dunque essi siano più a proprio agio in altri giri teorici e interpretativi (geopolitica, scontri di civiltà, tramonti dell’Occidente eccetera). Insomma essi sconterebbero, a volerla dire con uno sprezzante Costanzo Preve, una insufficiente frequentazione del pensiero di Marx.
Tutte queste spiegazioni però si limitano a indagare i soggetti e le loro strutture teoriche prescindendo dal prendere in considerazione che a cambiare, a mostrare questo bisogno di interpretazioni non solo “strutturali”, siano i fatti stessi, la loro “stranezza”, che siano stati gli eventi a portarci verso questa eccedenza interpretativa non ulteriormente mascherabile e non i nostri limiti interpretativi a farci approdare a un supposto stile paranoico in politica.
A ben pensarci, il capitalismo come appare ai suoi “abitatori” (giacché questa è la questione) ha avuto fasi ben più lineari e comprensibili. Si pensi al consumismo compulsivo e ingenuo e al contempo tragico e spietato di Bianciardi o di Pasolini e della sua polemica sui jeans Jesus in un celebre articolo del 17 maggio del 1973 poi confluito negli Scritti Corsari. In quelle pagine Pasolini faceva notare il passaggio da un vecchio capitalismo che affidava alla Chiesa il ruolo di agenzia ideologica repressiva a un nuovo potere borghese per cui la religione “costituisce un impedimento alla nuova rivoluzione industriale”. Il nuovo potere voleva “liberarci” affinché potessimo compulsivamente desiderare (o credere di desiderare), comprare, pubblicizzare. Un capitalismo semplice e consumistico che abbiamo visto poteva inglobare in sé culturalmente persino la contestazione e i suoi aspetti desideranti e radicaloidi (l’immaginazione al potere). A voler prolungare quel capitalismo consumista si arriva, secondo il compianto Mario Perniola, direttamente a Berlusconi. In un acuto libretto dal titolo Berlusconi o il ’68 realizzato, Perniola mette in collegamento gli anni sessanta con l’edonismo liberista (a parole, nei fatti statalista) dei novanta, sviluppista e sedicente edonista. In fondo, a ben pensarci, era proprio Berlusconi con la sua ritornante idea di un nuovo miracolo economico a far tornare perennemente gli anni sessanta.
Nel frattempo, mentre Berlusconi fuoriusciva dallo zeitgeist perdendo la sua efficacia come interprete di una egemonia culturale (basta ricordare quando, dopo il 2008, continuava a ripetere, fuori tempo, di come i locali fossero pieni di gente e dunque non vi fosse alcuna crisi), appariva una faccia del capitalismo meno allegra, liberante, falso-dionisiaca. Un capitalismo preoccupato di far reggere i consumi, quello delle rottamazioni, delle obsolescenze programmate, dell’I-phone che rallenta appositamente per convincere l’ovino di turno a sostituirlo con la versione successiva, e poi il capitalismo targettizzato (ne ha dato una interessante lettura, proprio nel 2008, Remo Bassetti in Contro il target) che “profila” e prepara nicchie di consumo per ogni identità posticcia che stimola (il consumismo come role playing perenne). Un nesso capitale-consumo in fondo persino più chiaro di quello precedente a volte mascherato da un vitalismo ancora non del tutto artefatto. Qui invece si leggeva chiaramente (almeno per chi non si trovava già deformato dalla targettizzazione ed era magari intento a trasformarsi, in pieno Salento o in Gallura, in un americano immaginario con pancia, barba, Harley Davidson e musica country, oppure in un elfo paratolkieniano eccetera) l’ansia del capitale di continuare il consumo fuori da ogni plausibile bisogno reale e stabilire anzitempo le linee di sviluppo per una più comoda prevedibilità dei flussi di consumo.
Ma oggi che pensare? Oggi che il capitale che attraverso i suoi delegati politici fino a poco fa ci diceva di spendere allegramente per non fermare la macchina economica e ora ci dice di espiare la nostra presenza inquinante in terra; oggi che ci annuncia, in un nuovo millenarismo che ha già fatto passare (forse distratto) le date in cifra tonda, un futuro prossimo di epidemie, di carenza di merci e di energia, di rinserramento bellico contro le forze del male, cosa pensare? Un potere legato a doppio filo con il grande capitale (si pensi al fenomeno delle porte girevoli che vedono politici formarsi in banche d’affari e poi servire in istituzioni o politici servire in istituzioni e finito il lavoro proseguire la carriera in banche d’affari e CDA vari) va stilando l’elenco dei nuovi riti salvifici che si annunciano infiniti e sempre più difficili e onerosi.
Nei riti e negli obblighi da ottemperare, in una stimmung da fine del mondo prossima ventura che ognuno di noi potrebbe scatenare pro quota con il proprio comportamento, si svolgerà il nostro prossimo “consumismo”, cambiando la caldaia o l’auto o gli infissi o i farmaci, non per godere come annotava Pasolini e non perché facciamo parte di un target, ma per non essere puniti o esclusi dalla società. L’obsolescenza non riguarda più il prodotto da sostituire, ma noi stessi. La mostruosità di questo scenario che va addensandosi è tale e così nuova, da apparirci come eccedente rispetto a una spiegazione che pensi al solo profitto. E del resto l’interprete contemporaneo viene portato via dalle riflessioni che cerchino di individuare i soli vantaggi delle parti in gioco con la continua riproposizione di un pervasivo elemento etico-religioso che fa sì che ognuno costantemente e reiteratamente, vaccinandosi o aderendo alla resistenza ucraina o alla correttezza politica o alla agenda green, salvi il mondo, la propria anima, la propria appartenenza al nostro tempo, il proprio diritto a fare parte della società.
In questa atmosfera densa di religiosità (si pensi alla teologia della scienza che tutti ci siamo beccati in questi tre anni) sembrano scomparire gli interessi, coperti dalla santità di chi vuole salvarci. Diventa dunque necessario mantenere la lucidità della segnalazione dei portatori di interesse e dei percettori di profitto. Al contempo, è innegabile che una nuova antropologia umana sembra emergere dinnanzi a noi, un nuovo sistema di valori, una nuova fede nell’ordine del mondo, e che sia necessario coglierne il profilo egli scopi. È innegabile che l’accumulazione di denaro, oltre un certo livello, diventa inutile se non allarga il campo di ciò che è del tutto raggiungibile con il denaro, cioè se non diventa potere. Il potere ha regole ben più complesse e congetturali del profitto e allarga il campo del nostro pensabile.
Questo allargamento va compreso (in questo momento è opaco) e abbisogna di ipotesi e di strumenti ben più ampi dell’economia. Basta ricordarsi che le proprie interpretazioni si inoltrano nel mondo delle volontà, dei fini, delle visioni del mondo, dove si trovano non leggi ma congetture e ricostruzioni e che a queste non è consigliabile affezionarsi troppo.
Il Contadino dice
Ottimo il Miccione, pezzo davvero stimolante.
Siamo immersi in un periodo storico di cambiamenti epocali, un’epoca finisce un’altra comincia, noi nel mezzo. Mi sembra quasi umanamente impossibile comprendere appieno quel che accade quando si è completamente immersi in una fase di transizione come quella che stiamo vivendo.
Provo ad immaginare di essere in piena seconda guerra mondiale, avverto la necessità di capire cosa sta succedendo: ora, c’è il mondo di prima, quello che conosco, e c’è il conflitto bellico che sto vivendo, ma non posso figurarmi il mondo che verrà, mi è impossibile, quindi non posso comprendere i perché e i percome del conflitto (che a mio avviso venne “organizzato” per poter instaurare il modello di società che sta appunto tirando gli ultimi colpi).
Forse forse i nostri nipoti sapranno guardare indietro e capire il perché di questo periodo folle, dovranno di certo districarsi in mezzo alle tante falsità storiche che verranno proposte, un po’ come dobbiamo fare noi oggi quando cerchiamo di capire gli eventi del passato, vedi seconda guerra mondiale.
Comunque rimango dell’idea che guardare i flussi di denaro è un trastullo che confonde, ci si perde come il gatto che rincorre il filo, esercizio vano, soddisfazione effimera.
Federico dice
Secondo me è tutto molto più semplice: i cosiddetti poteri forti cercano di prevenire qualsiasi cambiamento che possa mettere in discussione la loro futura esistenza e prosperità e, dato che il sovrappopolamento e la crisi ecologica e climatica, oltre alle possibili future pandemie, sono le attuali maggiori minacce allo status quo, si stanno attrezzando per farvi fronte. Queste minacce sono tali anche per i poveri del mondo ovviamente, ma questi ultimi hanno minacce ben più gravi ed imminenti da affrontare: carestie, siccità, disoccupazione, guerre, sfruttamento per porsi il problema di cosa succederà fra decenni. Quello che i poveri dovrebbero combattere prima di tutto è la disuguaglianza determinata dal sistema capitalistico che fa sì che i problemi dei poveri non siano sempre strettamente uguali a quelli dei ricchi! Quindi NON credere che i problemi ambientali non esistano e siano un’invenzione dei poteri forti per chissà quali obiettivi, ma semplicemente ricondurli alla loro origine economica e alla loro giusta priorità che non deve in ogni caso coprire nascondendoli i problemi ben più immediati delle classi subalterne. Anche le migrazioni a ben vedere nascono dallo squilibrio economico tra paesi ricchi e paesi poveri e dalle guerre che non sono cadute dal cielo, ma volute per precisi scopi imperialistici, quindi il nemico più grosso è sempre e solo uno: il capitalismo con tutte le sue nefaste conseguenze, tutte le altre strampalate teorie complottiste sono solo fuffa per polli!