Marco Di Mauro
Avanti.it
La controffensiva ucraina, stando ai media generalisti, sembra inarrestabile. Dal fronte arrivano notizie di un arretramento della Russia su entrambi i fronti: sul lato nord del fronte, le fasce blu, avanzate ben oltre il fiume Oski, hanno conquistato Krasnij Lyman, facendo arretrare i russi lungo la linea Svatove-Kreminna e attestandosi a Hrekivka, al di là del confine dell’oblast’ di Luhans’k da poco annesso alla Federazione Russa, mentre poco più a sud ad Artemivsk, vicino a Bakhmut, ci sono aspri combattimenti; all’estremità sud, le forze ucraine ieri hanno sfondato il confine e sono penetrate nell’oblast’ russo di Kherson conquistando la città di Snihurivka e minacciando seriamente la stabilità del territorio. I russi, così come avevano fatto a Krasnij Lyman, sono celermente arretrati dall’area dei combattimenti sulla foce del Dnepr per evitare di essere accerchiati dal nemico. L’esercito russo, stando alle dichiarazioni ufficiali del suo stato maggiore, sta tenendo opposti atteggiamenti rispetto ai due punti critici della lunga trincea su cui si è impantanata la guerra d’Ucraina. Lunghe file di mezzi corazzati russi si sono visti sul ponte Antonovski e da Melitopol, nell’oblast’ di Žaporižžja, recarsi verso il fronte di Kherson, e secondo fonti locali l’esercito di Mosca sta preparando il contrattacco; a nord, invece, continua la progressiva ritirata iniziata un mese fa, e oggi le autorità russe hanno annunciato l’evacuazione delle strutture sociali e mediche da Svatove – nei cui pressi le truppe blu-fasciate sono avanzate prendendo Pershotravneve – e da Kreminna, prevedendo evidentemente di dover arretrare ancora. In questa fase, se la strategia anglo-americana per Kiev, ormai giunta alla terza mobilitazione generale e sostenuta per lo più dai mercenari, rimane quella di aggredire le posizioni nemiche a oltranza, la strategia russa si conferma attendista e tesa a minimizzare le perdite. Intanto, i 300mila riservisti sono in piena fase di addestramento e le esercitazioni missilistiche si intensificano nel Mar Bianco, e chi ricorda la guerra di Siria sa che di solito il momento in cui i russi arretrano è quello in cui vanno temuti maggiormente.
Rispetto alla guerra economica, con le esplosioni dei due gasdotti Nord Stream può dirsi conclusa la prima fase, quella in cui con sanzioni sempre più elevate e ostruzionismo geopolitico il blocco atlantista ha tagliato completamente le relazioni che Mosca si era costruita con l’Europa, ma resta il petrolio.
Se in una prima fase il conflitto ucraino ha fatto salire vertiginosamente il prezzo del barile, dopo il vertice di Samarcanda della Shangai Cooperation Organization i paesi orientali hanno iniziato a delineare, almeno in apparenza, la creazione di un mercato parallelo che esula dagli interessi del gigante americano. Intanto, mercoledì a Vienna c’è stato un vertice dell’OPEC Plus in cui la Russia e i paesi mediorientali, compresi i sauditi, storici alleati di Washington, hanno deciso un taglio netto della produzione a fronte del crollo del prezzo del petrolio, giunto questo settembre a 90 dollari al barile. L’impennata del costo della benzina che ne deriverà sta letteralmente terrorizzando, secondo quanto detto da un insider alla CNN, il governo Biden, che si troverà ad affrontare le elezioni di medio termine coi prezzi del carburante alle stelle. Invano gli USA stanno attuando una pressione diplomatica sui propri alleati della penisola arabica per scongiurare il pericolo. Sembra proprio che la guerra economica riservi sviluppi imprevisti nel prossimo futuro.
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