Giuseppe Russo
Avanti.it
Domenica 26 giugno si è tenuto il secondo turno delle elezioni comunali in tutti quei centri in cui nessuno dei candidati aveva ottenuto la maggioranza assoluta nel primo turno di due settimane fa.
L’astensionismo è stato il trionfatore di queste consultazioni; fra i capoluoghi di provincia chiamati al voto, solo a Frosinone ha partecipato la maggioranza degli aventi diritto (precisamente il 53,6%), mentre altrove è stato un generalizzato buco nell’acqua, soprattutto al Nord: 36% a Como, 37 ad Alessandria, Cuneo e Monza, 39 a Parma. La fuga dalle urne, dunque, continua, e minaccia di trasformarsi in una delegittimante valanga. Il destino a breve termine del nostro sciagurato paese potrebbe essere quello di una “matura” democrazia anglosassone, ove è prassi che a pronunciarsi attraverso il voto, soprattutto nelle consultazioni a carattere locale, siano sparute minoranze. La verità è che l’affluenza al primo turno resta (relativamente) alta a causa delle mille liste e listine presenti, con tutto il corredo di speranzosi candidati a caccia di preferenze. Al secondo turno, i nodi vengono impietosamente al pettine: l’elezione di sindaco e consiglio comunale coinvolge appena il 40% della cittadinanza.
Il rapido conteggio delle poche schede deposte nelle urne ha sancito l’ennesimo trionfo del partito-regime: il PD ha vinto quasi dappertutto con le sue coalizioni-ombrello e i suoi “campi larghi”, facendo guadagnare qualche consigliere comunale pure all’agonizzante Movimento 5 Stelle. Le vittorie più clamorose sono giunte da città considerate bastioni del conservatorismo: a Verona l’ex calciatore Damiano Tommasi ha sbaragliato il sindaco uscente Federico Sboarina, alfiere perdente di un centrodestra dilaniato dalle lotte intestine (“miracolo” politico già riuscito, in realtà, a Paolo Zanotto nel 2002), mentre a Monza, la “Milano 3” in cui Berlusconi ha deciso di sparare le sue ultime raffiche, l’uscente primo cittadino berlusconiano Dario Allevi è stato superato dal vicepreside piddino Paolo Pilotto. Anche ad Alessandria, Catanzaro e Piacenza le giunte comunali cambiano colore con le nette affermazioni dei candidati del PD. A Parma, pur con meno del 40% dei votanti, il “pizzarottiano” Michele Guerra, assessore uscente, travolge il già sindaco di centrodestra Pietro Vignali con quasi i due terzi dei suffragi, portando per la prima volta il Partito Democratico al governo della città (nell’ultima amministrazione di sinistra, quella di Stefano Lavagetto dal 1994 al 1998, il “partitone” si chiamava ancora PDS). Unico successo significativo per un centrodestra in disfacimento quello di Lucca, città tradizionalmente “bianca” nella Toscana “rossa”, dove l’indipendente Mario Pardini prevale sul rivale di centrosinistra per circa 700 voti anche grazie all’appoggio informale delle liste “No Green Pass” di Andrea Colombini e di ItalExit di Paragone, in seguito al quale erano state alimentate ad arte virulente polemiche. Bilancio magrissimo per ciò che resta del centrodestra (e per la Lega in particolare) in questo secondo turno: qualche testa dovrà pur cadere nei prossimi giorni. Il paniere sotto la ghigliottina è pronto ad accogliere quella di Matteo Salvini.
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