Sullo scacchiere infuocato dell’America Latina vacilla una casella che è sempre rimasta saldamente in pugno agli Stati Uniti. La Colombia, unico paese sudamericano a non essere mai stato lambito da quella “vuelta a la izquierda” che ha caratterizzato, con toni diversi, la storia recente del subcontinente, è ad un passo da una svolta radicale. Alle elezioni presidenziali dello scorso 29 maggio, le oligarchie di narcocacicchi che da sempre detengono il potere sono state spazzate via dal voto popolare: il loro candidato, l’ex sindaco di Medellin Federico Gutiérrez, con poco più di 5 milioni di voti, pari al 24% del totale, non è riuscito neppure ad accedere al ballottaggio del prossimo 19 giugno, al quale prenderanno parte l’ex guerrigliero Gustavo Petro, del “Patto storico per la Colombia”, ed il ricchissimo costruttore, nonché “star di Tik Tok”, Rodolfo Hernàndez, già sindaco di Bucaramanga e candidato per la “Lega anti-corruzione”.
Gustavo Petro è stato il vincitore del primo turno presidenziale con poco più di 8 milioni e mezzo di voti, ovvero il 40%. La sua parabola è descrivibile come una lunga marcia all’interno delle istituzioni. Dopo essere stato un giovanissimo militante del movimento guerrigliero “19 aprile”, evolutosi poi in partito politico in occasione della pacificazione di fine anni ’80, Petro ha saputo accreditarsi negli anni come leader dell’opposizione sociale sia dagli scranni della Camera e del Senato, dai quali ha più volte denunciato la collusione fra gli oligarchi, i narcotrafficanti e le famigerate milizie paramilitari abituate a seminare il terrore nelle aree rurali, sia dalle piazze, come in occasione dell’ondata di proteste che ha travolto il presidente uscente, il conservatore Ivàn Duque, nella primavera del 2021. Eletto sindaco di Bogotà nel 2012, Petro fu prima rimosso dalla carica e bandito dalle cariche pubbliche per 15 anni sulla base di una controversa iniziativa dell’alto magistrato Alejandro Ordóñez Maldonado, e poi reintegrato da un altro magistrato dopo l’intimazione ricevuta da parte della Commissione inter-americana sui diritti umani.
Quest’ultima è la terza candidatura presidenziale di Gustavo Petro; nella prima, nel 2006, giunse quarto con il 9% dei suffragi, nella seconda, relativa alle precedenti presidenziali del 2018, venne nettamente sconfitto al ballottaggio dal candidato delle tradizionali oligarchie, il già citato Duque, dopo aver ottenuto un quarto dei voti al primo turno. Da questo punto di vista, la sua avanzata assomiglia a quella del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, oppure a quella dell’ex capo dello stato brasiliano Lula. La coalizione che lo appoggia in queste elezioni, il “Patto storico per la Colombia” opera una sintesi fra le istanze storiche dei movimenti di guerriglia che hanno caratterizzato il secondo Novecento colombiano e quelle dei movimenti sociali del XXI secolo. Fra i principali punti del suo programma, un piano nazionale per combattere la fame (con la demolizione economica connessa alle misure emergenziali si è giunti ad un tasso di disoccupazione di oltre il 40%), una riforma agraria per distribuire 15 milioni di ettari di latifondo (il tema intorno al quale si è consumato un secolo di guerre civili) e, sul piano della politica estera, la riapertura delle relazioni diplomatiche con il confinante Venezuela, considerato un avamposto dell’Inferno dalle élite colombiane; è proprio agitando lo spauracchio di Hugo Chavez, oltre a quello della guerriglia, che è stata portata avanti la “mostrificazione” di Gustavo Petro, processo che toccherà livelli parossistici nei prossimi giorni.
A fronteggiare Petro nel turno di ballottaggio del 19 giugno sarà Rodolfo Hernàndez, un settantasettenne che si è dato alla politica in età matura dopo aver accumulato una fortuna con la speculazione edilizia, diventando prima sindaco della città di Bucaramanga, ruolo in cui si è costruito la fama di “sceriffo”, e poi profeta anti-corruzione attraverso i suoi video pubblicati sui social network. Alcuni analisti lo hanno paragonato a Berlusconi, ma in realtà sono maggiori le similitudini con Bolsonaro: un outsider che riesce ad occupare, in una fase di profondo discredito della classe politica e dei partiti tradizionali, la parte “destra” del vuoto politico. Nonostante sia considerato una mina vagante ed abbia un programma tutt’altro che liberista o reazionario, Hernàndez ha visto subito concentrarsi sulla sua persona gli appoggi delle oligarchie politiche, economiche, militari e clericali in vista del ballottaggio. Per impedire che Petro raggiunga lo scranno presidenziale, costoro saranno disposti a tutto. Quando è capitato, nella travagliata storia della Colombia, che un uomo inviso allo zoccolo duro dell’establishment (ed agli americani) si avvicinasse così tanto al potere politico, un attentato ha posto fine al processo: è successo a Jorge Gaitàn nel 1948 ed a Luis Carlos Galàn nel 1989, ed in entrambi i casi si trattava di candidati assai più moderati di Gustavo Petro, organici a quella borghesia progressista da sempre emarginata dallo strapotere di latifondisti e clan criminali. Il 19 giugno sapremo se un’altra Colombia è possibile.
Lascia un commento