Martedì 24 si terrà al Cairo un vertice trilaterale tra Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità Palestinese, il re della Giordania Abdullah II e Fattah al-Sissi, presidente dell’Egitto. Abbas chiede aiuto ai due paesi vicini, entrambi confinanti con la Palestina occupata dallo stato sionista, a fronte della sempre più violenta e crescente aggressività dell’esercito israeliano contro i coloni palestinesi: mentre continuano i raid nella Cisgiordania settentrionale tra Jenin e Nablus, mietendo continue vittime tra gli autoctoni, gli espropri di case e terre da parte israeliana si sono intensificati. L’Autorità Palestinese, legata soprattutto a Fatah, ha perso tantissimi consensi tra la popolazione per la sua linea morbida nei confronti degli occupanti e il pugno duro contro le numerose brigate della resistenza formatesi negli ultimi anni, che non riconoscono l’autorità di Abbas; inoltre, la Striscia di Gaza, teatro quest’estate di un’orrenda strage ad opera dei caccia delle IAF, pur essendo ritenuta territorio palestinese, è sotto il controllo di Hamas, in una condizione di frammentarietà che non permette una difesa adeguata contro lo strapotere militare degli occupanti. A questo si aggiungono le provocazioni politiche e religiose inscenate da esponenti dell’estrema destra nazionalista israeliana, dirette soprattutto alla Spianata delle Moschee.
Dal canto suo Abdullah II, se finora aveva adottato un profilo il più possibile basso e di non aperta ostilità verso la tensione sempre crescente nonostante in base agli accordi del 1994 spettasse al suo regno la salvaguardia dei luoghi sacri all’islam nei territori occupati, si è attestato infine su posizioni più radicali dopo l’ingresso nella Spianata di Itamar Ben Gvir, ministro della sicurezza nazionale di Tel Aviv, cui è seguita proprio ieri una provocazione chiara contro la Giordania, quando le forze di sicurezza israeliane hanno impedito l’accesso al luogo sacro all’ambasciatore giordano nel paese Ghassan Magali. Il messaggio è chiaro: lo stato sionista non ha più intenzione di perpetrare lo status quo che consentiva ai soli musulmani di pregare nel terzo luogo più sacro della religione islamica situato a Gerusalemme Est.
La provocazione di Ben Gvir ha suscitato la condanna di tutta la comunità internazionale, compresi gli Stati Uniti, principali fautori dell’arsenale e della tecnologia israeliana; Abbas si è rivolto alla Corte Internazionale di Giustizia, come ha sempre fatto, per chiedere un intervento nella causa, e ciò ha suscitato un inasprimento delle sanzioni dello stato occupante sui territori palestinesi. Come se non bastasse, in risposta alle tensioni crescenti con gli arabi suscitate dalle sue stesse provocazioni, Ben Gvir ha vietato per legge di esibire in pubblico la bandiera palestinese.
Anche l’Egitto ha espresso preoccupazione riguardo alla situazione, per il fatto che l’escalation innescata e alimentata da Israele sta rendendo sempre più difficile il ruolo di mediazione svolto finora dal Cairo tra Hamas e i jihadisti palestinesi, con cui il Cairo ha un rapporto privilegiato, e l’aggressore sionista. Poche finora le indiscrezioni trapelate rispetto a quanto sarà deciso dai tre stati, che si sono incontrati ufficialmente l’ultima volta lo scorso giugno.
MDM
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