Domenica una grande folla si è riunita nella piazza principale di Città del Messico, per protestare contro la riforma dell’Istituto nazionale elettorale (INE) fortemente voluta dal presidente Lopez-Obrador e votata la scorsa settimana dal parlamento messicano.
Il presidente Obrador ha da sempre accusato l’istituto di essere inefficiente, costoso e soprattutto corrotto, per via della sconfitta subita 6 anni prima delle elezioni del 2018 che lo hanno incoronato vincitore; sconfitta avvenuta dopo il riconteggio operato proprio dall’INE e considerato dai suoi sostenitori come una truffa elettorale.
La riforma appena votata ha ridotto il budget dell’istituto che ammontava a più di 150 milioni di dollari, una cifra considerata eccessiva.
Le forze di opposizione hanno accusato Lopez-Obrador di voler stroncare l’istituto elettorale per eliminare la democrazia in Messico.
Veronica Echevarria, tra le organizzatrici delle manifestazioni, ha detto di essere scesa in piazza “per difendere la democrazia nel nostro paese. Il presidente sta giocando col fuoco”. La protesta ha visto partecipare mezzo milione di messicani solo nella capitale, scesi in piazza con “el tricolór”, la bandiera messicana, e vestiti di rosa, il colore istituzionale dell’Istituto nazionale elettorale, e urlando slogan quali “El INE no se toca!” e “Viva Mexico!”.
Fernando Belaunzaran, leader dell’opposizione che ha aiutato ad organizzare la protesta, si è detto molto preoccupato per le scelte di Lopez-Obrador. Normalmente il presidente uscente (carica della durata di 6 anni e non rieleggibile) prepara la propria successione, sperando che sia un suo uomo a succedergli come presidente “ma così è troppo e Lopez-Obrador rischia soltanto di regalarci instabilità e la fine della democrazia”. Accuse che l’entourage presidenziale respinge come “menzogne ed allarmismo dell’opposizione”.
Dal dipartimento di Stato americano arriva una dichiarazione di preoccupazione per bocca di Brian Nichols, assistente segretario di Stato. “Guardiamo con preoccupazione” dice Nichols “agli sviluppi della situazione in Messico. Gli Stati Uniti sosterranno sempre gli enti indipendenti che tutelano la democrazia”.
Dal governo però fanno sapere che la “riforma interviene sul budget e sulla struttura interna dell’istituto, non mina in alcun modo le sue facoltà e la sua indipendenza”.
La riforma voluta da Lopez-Obrador colpisce un organo che effettivamente in passato ha dato dimostrazione della sua corruzione economica e politica; corruzione di cui è stato vittima lo stesso presidente nel 2012 quando la vittoria gli fu sfilata proprio dal riconteggio operato dall’INE. E se il Messico è terra di brogli elettorali, il “merito” è tutto dall’Istituto nazionale elettorale che ha sempre finito per premiare il candidato più vicino – se non compromesso – con l’elite economica messicana e con gli interessi geo-strategici americani. E quest’ultimi ovviamente, sono dietro le proteste di ieri – visto anche l’intervento a gamba tesa del Dipartimento di Stato – guidate dai partiti della destra messicana, avendo tutto l’interesse a far cadere un governo che per nulla è stato prono e succube degli interessi statunitensi in tutta la regione.
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