Un nutrito gruppo di manifestanti ha preso d’assalto il Palazzo del Governo a Ulan Bator, capitale della Mongolia, nella giornata di lunedì 5 dicembre. All’origine della protesta lo scandalo legato all’esportazione di carbone in Cina, che vede coinvolti in un giro di corruzione politici mongoli ed alti funzionari cinesi. Il furto, come riferito dai media locali, ammonterebbe a 12,9 miliardi di dollari. Le autorità cinesi hanno già annunciato che tutti i funzionari coinvolti nel furto di carbone sono stati messi sotto inchiesta ed hanno segnalato i nomi dei politici mongoli collegati a questo caso al primo ministro, Ukhnaagiin Khürelsükh.
Le proteste, animate soprattutto da giovani studenti, sono di chiara matrice anti-cinese. Nello scacchiere internazionale la Mongolia, già considerata uno stato satellite dell’Unione Sovietica nel corso del XX secolo, è oggi allineata alle posizioni dell’asse Russia-Cina, come attestato dalla visita del presidente cinese Xi Jin Ping nell’agosto di quest’anno In questa ottica, le proteste mongole iniziano ad avere quel profumo di “rivoluzione colorata” tanto caro a Washington. Non ci meraviglierebbe vedere, nei prossimi giorni, Victoria Nuland in piazza ad Ulan Bator, intenta a distribuire biscotti ai manifestanti.
Come dice un vecchio proverbio cinese, molto noto in Mongolia: A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca!
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