Da Lula arriva una nuova stoccata al dollaro e alla sua supremazia che ormai pare in fase calante. Il presidente del Brasile, da poco approdato in Cina, ha chiesto ai Paesi membri del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) di trovare un’alternativa che sostituisca il dollaro nel commercio estero, creando quindi una moneta unica per il blocco che possa divincolarsi dalla morsa delle regole finora imposte ai paesi in via di sviluppo. Lula ha espresso queste considerazioni in occasione di una visita alla New Development Bank di Shanghai, un’istituzione creata dai BRICS di cui l’ex presidente del Brasile Dilma Rousseff è nuovo amministratore delegato.
“Perché un’istituzione come la banca BRICS non può avere una valuta per finanziare le relazioni commerciali tra Brasile e Cina, tra il Brasile e tutti gli altri paesi BRICS? Perché non possiamo commerciare con le nostre valute? Chi ha deciso che debba essere il dollaro?”. Lula ha parlato poi della necessità di una moneta che stabilizzi e pacifichi i paesi, poiché allo stato attuale hanno l’obbligo di rincorrere il dollaro per poter esportare e ha anche aggiunto che la New Development Bank rappresenta un’alternativa al Fondo Monetario Internazionale, accusato insieme ad altre istituzioni affini di imporre condizioni e requisiti di vario genere per prestare denaro e di amministrare i conti dei paesi del terzo mondo quasi come fossero loro ostaggi.
Pechino sta intensificando gli sforzi per aumentare l’uso della propria valuta nel commercio estero. Il mese scorso, Brasile e Cina hanno adottato misure per rendere più facile e risolvere le loro operazioni di commercio estero in yuan o reais (la moneta brasiliana), con l’obiettivo dichiarato di ridurre i costi eliminando una terza valuta – non controllato dai due partner – dalle transazioni. Il ministro delle Finanze brasiliano Fernando Haddad, che ha accompagnato Lula nel suo viaggio a Shanghai per l’insediamento di Dilma Rousseff, ha dichiarato ai giornalisti che “il vantaggio è quello di evitare la camicia di forza imposta da operazioni commerciali regolate in una valuta di un paese non coinvolto nella transazione”.
Al di là delle valutazioni di Lula e delle convenienze dei rapporti sino-brasiliani, sembra ormai chiaro il disegno che va delineandosi: la divisione del mondo in due blocchi, con due modelli di sviluppo differenti, sì, ma non totalmente antitetici; per capirci, non siamo di fronte alla nascita di un blocco anti-capitalista, piuttosto stiamo assistendo al sorgere di un nuovo gruppo di paesi, un tempo definiti emergenti, che adesso vogliono contare di più nel mondo, svincolandosi dal dominio americano per imporre – lo insegna la storia dell’imperialismo capitalista – il proprio dominio che, in questo caso, può benissimo vestire i panni del soft power.
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