Il ministero della Difesa della Federazione Russa ha affermato che, a seguito del bombardamento con gli HIMARS, di fabbricazione statunitense, da parte dell’esercito ucraino su Makiivka, 70 soldati russi sono morti e 136 feriti. Un massacro insensato ai fini bellici, dal momento che era la notte di capodanno e i militari stavano festeggiando, senza alcun intento offensivo dunque a giustificarne l’essere obiettivo dei missili nemici. Ma, si sa, i nostri alleati ucraini non commettono mai critici di guerra, e molto probabilmente i russi, si sono bombardati i propri militari da soli, presi dallo stesso slancio masochistico che gli ha fatto autosabotare il Nord Stream 2. I media russi hanno segnalato la leggerezza dei propri comandanti, che hanno fatto ricoverare centinaia di soldati in una scuola in disuso, dove tutti sapevano che erano alloggiati dei militari, a cui non erano stati sequestrati i telefoni cellulari, rendendoli così facilmente localizzabili, e soprattutto accanto a un deposito di munizioni, fattore che ha aggravato moltissimo il bilancio della tragedia.
Ma è un’altra la riflessione che vorremmo fare. All’inizio si pensava che fossero civili e quindi l’indignazione è montata tra i commentatori. Poi, quando si è capito che fossero “semplici” militari, l’indignazione è scemata. Nella pantomima della guerra per la pace e della pace per la guerra, fa specie pensare che la morte di un militare sia meno morte di quella di un civile. È un cuore che ha smesso di battere, un padre, un marito, un figlio che non rivedrà i suoi cari. Combattiamo guerre di cui non conosciamo nemmeno gli antefatti, che non comprendiamo a volte nemmeno di combattere. E quel missile Usa che ha ucciso a Makiivka, la prossima volta potrebbe avere, come tante altre volte ha avuto, bandiera italiana, e magari noi non ne sapremmo niente.
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