Mentre la politica israeliana si divide sulla contestatissima riforma della giustizia, i partiti politici ritrovano unità nell’approvare un nuovo provvedimento razziale, coloniale anti-palestinese, intriso di sionismo. La Knesset ha approvato stamane in seconda lettura, la prima è avvenuta settimana scorsa, la legge che revoca il “Disimpegno dalla Cisgiordania” del 2005, un atto con il quale il governo israeliano ritirò le sue truppe dalla West Bank, smantellando quattro villaggi di coloni israeliani. Questo è l’ennesimo atto criminale di un governo razzista e sanguinario che ha ormai deciso di schiacciare il piede sull’acceleratore in questa guerra impari contro i palestinesi.
Il parlamentare della Likud, il partito di Netanyahu, e promotore della legge Yuli Edelstein si è detto soddisfatto “dell’approvazione della legge, frutto di 17 anni di lavoro intenso per riportare gli israeliani a casa, dopo la deportazione avvenuta nel 2005”. La legge, approvata con 31 voti a favore e 18 contrari, ha visto il sostegno morale ed ideologico anche dell’opposizione, dei partiti di estrema destra e del sionismo religioso; tuttavia alcuni parlamentari, i più radicali, hanno votato contro la legge perché in tal modo “Israele smetterà di essere un paese con un solo popolo”. In poche parole, invadendo nuovamente la Cisgiordania, Israele perderà la purezza razziale, secondo i sionisti più radicali.
Come già anticipato, a tenere banco nella discussione politica non c’è solo l’occupazione dei territori palestinesi, ma anche la riforma della giustizia. E al fianco della legge che permette ad Israele di rioccupare i territori occidentali della Cisgiordania, il governo israeliano ha introdotto in parlamento, incassando la prima approvazione, anche il primo disegno di legge della riforma della giustizia che prevede la riduzione dei poteri della Corte Suprema sulle cause di corruzione inerenti il primo ministro e la riduzione delle possibilità di rimozione di un primo ministro da parte del parlamento, solo a cause di incapacità mentale; per tutto il resto, accuse di corruzione o di altri reati, il primo ministro non potrà essere rimosso dal suo incarico.
Una decisione che preoccupa le opposizioni poiché “in questo modo si accentra tutto il potere nelle mani di Netanyahu e alla sua maggioranza parlamentare”. E nonostante le proteste dell’ultimo mese, con la partecipazione anche delle forze armate, Netanyahu è intenzionato ad andare avanti nel suo progetto di riforma del sistema istituzionale del paese per restare al potere.
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