Nayib Bukele, presidente di El Salvador attacca Soros e i giornalisti della maggior parte dei media dell’America Latina. “In tutti i paesi latinoamericani ci sono media e “giornalisti” pagati da Soros”, dichiara dal suo profilo Twitter. “In realtà, non si tratta di giornalisti, ma di attivisti politici che portano avanti una agenda ben definita e perversa”, conclude Bukele. Il presidente salvadoregno, dunque, è sicuro: i giornalisti e i giornali, così come le tv e le radio, sono al soldo di Soros il quale, tramite loro, diffonde la sua agenda politica globalista che, tante volte, ha destabilizzato gli stati non considerati allineati al Pensiero Unico che lui, del quale egli si fa promotore e ideologo. La dichiarazione di Bukele arriva in concomitanza con la “Giornata mondiale della libertà di stampa” e con la votazione di una risoluzione del parlamento di El Salvador proprio sulla libertà di stampa nel paese latinoamericano. Dopo queste accuse, l’associazione dei giornalisti salvadoregna ha risposto alle accuse del presidente Bukele ribadendo l’allarme lanciato lo scorso anno sullo stato della sicurezza dei giornalisti nel paese che “vantano” più di 150 aggressioni solo nel 2022, mentre il numero sale a 420 a partire dal 2019, anno in cui Bukele fu eletto presidente. Una accusa non troppo velata rivolta al presidente Bukele da parte della stampa “mainstream” salvadoregna che lo ritiene responsabile delle aggressioni subite negli ultimi anni.
Dal canto suo, George Soros non ha rilasciato alcuna dichiarazione sulle accuse rivoltegli da Bukele, ma ha però respinto le accuse mossegli da Trump di essere legato al procuratore Alvin Bragg, lo stesso che ha chiesto ed ottenuto l’arresto del tycoon americano il mese scorso.
La dichiarazione di Bukele non deve sorprenderci, anzi, deve essere una conferma delle trame politiche di un miliardario che già controlla l’amministrazione Biden e che è sempre dietro i fatti più drammatici della storia recente, nascosto all’ombra delle Ong o dei media “indipendenti” finanziate per rovesciare questo o quel governo (come fatto in Ucraina nel 2014 o il tentativo recente in Georgia) considerati scomodi per l’attuazione dell’agenda globalista.
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