I paesi baltici, la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca starebbero facendo pressioni su Kiev affinché accetti di iniziare trattative di pace con la Russia. A dirlo è Seymour Hersh, il premio Pulitzer che ha dimostrato la responsabilità americane dietro il sabotaggio del Nord Stream e la vendita sul mercato nero, con annesso arricchimento dei gerarchi ucraini, delle armi che l’occidente ha inviato in Ucraina.
Secondo Hersh, che come sempre cita fonti interne al Pentagono, i leader dei paesi baltici, della Polonia e dell’Ungheria starebbero facendo pressioni, in particolare su Zelensky (che ormai da tempo non gode più nemmeno nella fiducia di Washington), affinché l’Ucraina cessi le ostilità con la Russia accettando qualsiasi compromesso pur di raggiungere la pace; una proposta che, se accettata da Zelensky, lo condannerebbe come minimo alle dimissioni, se non addirittura all’esilio, visto gli alti costi pagati dagli ucraini fin qui anche a causa della sua gestione scellerata della questione del Donbass sin dal 2019. Le motivazioni che hanno spinto questi paesi, fanatici alleati di Kiev, a fare pressioni su Zelensky, sarebbero tre: la prima è il flusso di rifugiati ucraini, circa 5 milioni dall’inizio della guerra ad oggi, che sta diventando insostenibile per tutti, anche per le tensioni sociali che questi fomentano nei paesi in cui sono ospitati. Ma le vere motivazioni, forse più materiali del problema rifugiati, sono senza dubbio la crisi economica scaturita dalle sanzioni che sta colpendo questi stati e la divergenza di interessi fra la Nato – che vuole la sconfitta della Russia – e gli imprenditori, soprattutto ungheresi, che invece hanno tutto l’interesse affinché si ristabiliscano normali rapporti con la Russia per continuare a fare affari. Estonia e Lettonia, anche a causa delle sanzioni, hanno visto crollare il Pil del 2% in un solo anno, crollo trainato dalla riduzione delle esportazioni verso la Russia; l’Ungheria, invece, non ha sofferto di questi problemi, soprattutto in ambito petrolifero, avendo continuato a ricevere gas e petrolio russi. Tuttavia, dalle parti di Budapest si nota una certa insofferenza verso le richieste di Zelensky e i piani – trapelati dai famosi leaks pubblicati dal Washington Post – per il sabotaggio dell’oleodotto che porta il petrolio russo in Ungheria, avrebbero fatto infuriare Orban. Questa insofferenza si è tradotta nel veto posto da Orban all’autorizzazione di una tranche da mezzo miliardo di dollari del Fondo Europeo per la pace per l’invio di armi a Kiev. L’unico paese che, finora, sembra aver guadagnato dalla guerra tra Russia ed Ucraina è la Polonia. I leader polacchi credono di essere diventati come la “nuova Germania” per la Nato e gli Stati Uniti, visto che le armi per Kiev transitano tutte da Varsavia e che le riparazioni vengono effettuate sul suolo polacco, con un grande ritorno economico per le aziende locali, senza dimenticare la nuova base militare americana aperta recentemente. Ma non solo, la trans bellicista polacca ha spinto il governo ad aumentare le spese militari fino al 4% del Pil, una cifra astronomica per una economia come quella polacca.
Considerate queste divergenze fra i paesi in questione, sembra difficile che possano tutti insieme far pressioni su Kiev per una cessazione delle ostilità anche e soprattutto in senso sfavorevole. Tuttavia, non è impensabile che per diversi interessi – anche opposti tra di loro – Polonia ed Ungheria possano trovare un comune beneficio dalla fine della guerra.
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