Continua la guerra tra USA e Cina per il primato tecnologico nei semiconduttori e chip. È notizia di ieri che Pechino ha imposto restrizioni sull’importazione dei chip prodotti dall’azienda americana Micron, vietando alla sue aziende di importare semiconduttori e chip provenienti dall’azienda statunitense poiché – come si legge nella nota della China’s national security che si occupa di sicurezza informatica – “hanno potenziali problemi di sicurezza della rete relativamente seri che rappresentano un grave rischio per la sicurezza della catena di approvvigionamento dell’infrastruttura informatica critica della Cina e incidono sulla sicurezza nazionale cinese”.
La decisione del governo cinese non è stata, ovviamente, accettata di buon grado a Washington. Il portavoce del dipartimento di stato Matthew Miller ha espresso serie preoccupazioni per la decisione della Cina; una decisione che, secondo lui, rimarca ancora una volta l’incoerenza cinese rispetto ai proclami di “apertura totale per i rapporti commerciali, chiari e rispettosi delle regole”. Questa decisione, secondo Miller, non passerà in sordina e gli USA faranno sentire la loro voce presso Pechino. Tuttavia, i cinesi sono inamovibili visto che la decisione è arrivata alla vigilia del viaggio del ministro del Commercio Wang Wentao che si recherà proprio a Washington. La decisione di Pechino, comunque, non è sicuramente una sorpresa ma una risposta alla decisione statunitense dello scorso anno di bloccare le importazioni da Pechino e le esportazioni verso l’azienda cinese Yangtze Memory Technologies Co Ltd, rivale della Micron perché, secondo gli alti funzionari americani, questo avrebbe concesso ai cinesi di sviluppare tecnologia militare attraverso i chip e microchip americani.
Dunque, il divieto di importazione dei chip Micron imposto dalla Cina è soltanto l’ultimo atto, in ordine cronologico, di quella guerra fra Cina e USA che investe ormai tanti settori, da quello tecnologico a quello commerciale, passando anche per frizioni militari e geopolitiche (vedasi Taiwan), tra minacce di sanzioni – made in USA – e minacce di divieto di esportazione metalli preziosi e terre rare, come già paventato dalla Cina.
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