I roboanti annunci nostrani sulla firma dell’accordo sul gas della scorsa settimana fra Eni e la Libia sono stati prontamente stroncati dal ministro del Petrolio e del Gas libico, che ha dichiarato che l’intesa con Eni non sarebbe valida.
Il Ministro Mohamed Aoun, che già prima della firma aveva mostrato delle perplessità rispetto ai termini del contratto, ha precisato che gli 8 miliardi di dollari per l’aumento della produzione di due giacimenti di gas proposti da Meloni e da Claudio Descalzi, Ad di Eni, sarebbero in realtà da dividere a metà tra Italia e Libia, denunciando quindi la poca affidabilità del progetto, svantaggioso se si pensa che prevede l’estrazione da parte dell’Eni di una quota di gas pari al 37% rispetto a quella inizialmente prevista del 30.
Il ministro lamenta anche di non essere stato informato sui termini dell’intesa, che aggirando l’approvazione del suo ministero diverrebbe illegale e iniqua.
Sebbene si stia parlando dell’accordo più sostanzioso concluso dalla Libia negli ultimi decenni, lo stesso ha destato non pochi dubbi in più soggetti, tra cui Fathi Bashagha, Primo Ministro del Governo di Stabilità Nazionale, e persino all’interno dell’Alto Consiglio di Stato libico e della stessa Noc (National Oil Corporation), che vorrebbe rivedere i termini del contratto.
Di fronte a questo scenario, le previsioni Eni sull’avvio produttivo del primo dei due giacimenti di gas (stimato intorno al 2026) potrebbero naufragare insieme alle speranze che l’Europa, dovendo sopperire alle risorse russe, possa attingerne facilmente e tempestivamente dal Nord Africa e dal Mediterraneo orientale.
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