“Lascio l’Università di Padova per essere libero di prendere ogni decisione”. Con queste parole il senatore PD Andrea Crisanti, che all’Ateneo padovano ricopriva il ruolo di docente ordinario di microbiologia, annuncia la decisione di lasciare la cattedra, a seguito delle indagini della Procura di Padova sui tamponi rapidi acquistati dalla giunta Zaia per un totale di 148 milioni di euro, nonostante uno studio dello stesso Crisanti ne dimostrasse l’inattendibilità, o meglio un’attendibilità molto inferiore del 90% dichiarato dall’azienda produttrice. La stizza del Doge e del suo entourage è arrivata al punto che un dossier, raccolto sul conto dello “zanzarologo” Crisanti, è stato poi inoltrato da Azienda Zero, incaricata di trattare la commissione dei tamponi per la Regione, alla Procura. Eloquenti le intercettazioni pubblicate da Report nella puntata del 3 gennaio, in cui Zaia, con colorita loquela, “dipinge” la figura di Crisanti, manifestando la sua piena avversione. Al netto del solito teatrino, ormai stucchevole e quasi irritante, dei rimbalzi di colpe e dei coltelli nascosti solo a favor di telecamere, vorremmo soffermarci sui dati processuali. 148 milioni di euro spesi per acquistare tamponi rapidi che, stando all’aumento dei decessi nel periodo in cui sono stati utilizzati, si sono dimostrati inattendibili. Nonostante, in un fugace slancio etico, anche l’allineato Crisanti ne avesse ribadito l’inaffidabilità, sono stati acquistati lo stesso e per questa commessa sono indagati, tra gli altri, Roberto Rigoli, direttore della microbiologia di Treviso, che confermò l’idoneità scientifica dei test rapidi, e l’allora direttrice generale di Azienda Zero, Patrizia Simionato.
Vedremo come andrà a finire, ben consapevoli che, nel turbinio mediatico che fagocita e digerisce la notizia precedente per la successiva, forse è già finita.
AD
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