Di Fronte del Dissenso
Chi nega la natura umana, e lo fa da “sinistra” convinto che si tratti di un concetto conservatore e reazionario (confondendo così l’uso ideologico del concetto, con la sua pertinenza filosofica e ontologica), non capisce purtroppo che proprio il carattere generico della natura umana stessa è il principale fattore di impedimento alla stabilizzazione di una dittatura manipolatrice, non importa se ispirata al materialismo dialettico di Stalin o al fondamentalismo sionista-protestante di Bush. Se l’uomo non fosse un ente naturale generico, in cui la creatività e la reazione all’oppressione sono elementi non solo storici ma radicati nella più intima struttura antropologica, non scommetterei neppure dieci euro sulle possibilità dei movimenti di resistenza.
Costanzo Preve [1]
In Italia la classe dirigente è sottomessa ai poteri forti. E prospera servendoli, fingendo di governare e amministrare la cosa pubblica autonomamente. Forte del fatto che il popolo non ha neppure il coraggio di ammettere chi è che comanda davvero. Va vista come una nobiltà, che è fedele al re, eseguendone gli ordini; è solo divisa in due fazioni che si scontrano per la supremazia a corte:“destra” e “sinistra”, questa includendo anche buona parte della magistratura.
Si scontrano due concezioni dell’essere subalterni e venduti a danno dei cittadini. I “baroni”, la destra, vogliono fare i feudatari, in modo che come vassalli possano avere una certa autonomia sui loro feudi, e taglieggiare il popolo anche per loro vantaggio, oltre che per conto del re. I “mandarini”, la sinistra e i magistrati, vogliono eseguire i voleri predatori dei poteri forti come “saggi” funzionari e ottenere con questo di campare riveriti e forti, senza sporcarsi troppo le mani con ruberie personali. Non si sa quale fazione sia peggio per le persone comuni; che farebbero bene a non parteggiare per nessuna delle due. Il Covid, e in generale le frodi biomediche strutturali, mostrano come in alcuni casi i mandarini possano essere ancora più zelanti e quindi ancora più nocivi, nello stracciare la Costituzione e il diritto e opprimere il popolo, dei baroni che vogliono stabilire un diritto di predazione anche per loro stessi mentre predano per il re.
Francesco Pansera [2]
Per Costanzo Preve l’essere quale metafora della comunità è comprensibile solo attraverso la pratica filosofica e ciò rappresenta l’indispensabile premessa per ogni prassi politica. La prassi va coniugata con la teoria per superare il nichilismo della tecnocrazia, mentre dal canto suo il circo mediatico fornisce risalto solamente alle filosofie innocue per le oligarchie dominanti. Vi è dunque filosofia dove ci si congeda dalle mode, smarcandosi dai semplicismi per fondare la verità. Verità che non si fabbrica e non si possiede, ma alla quale ci si può accostare senza mai renderla proprietà personale.
Allontanarsi volontariamente dagli stereotipi e dalle false verità propalate dal circo mediatico fa in modo che la filosofia diventi attività veritativa di una comunità umana che si pone finalità ontologiche. In Costanzo Preve vi è la compresenza di più registri linguistici poiché la filosofia non deve rinchiudersi in nicchie specialistiche; essa è il viaggio intorno all’essere umano e pertanto i filosofi devono insegnare l’ascolto e che le critiche sono mezzi per umanizzarsi e ritrovarsi tra persone affini.
La politica esiste solo se l’essere umano pensa e definisce la propria natura, in un lavoro della spirito che può essere inibito dalla destrutturazione dei corpi medi della democrazia. Il nichilismo tecnocratico, ideologicamente ateo ed anticomunitario, eleva il proprio peana all’individualismo come mezzo per smantellare la politica e le sue pratiche comunitarie e ridurre l’essere umano ad un atomo consumante che non percepisce la necessità della comunità nelle sue forme plurali.
IL DIALOGO
La politica è possibile solo mediante un percorso di ricerca comune nel quale la dialettica non sia considerata divisoria ma una pratica comunitaria ed in quanto tale già pratica politica.Viceversa, la chiacchiera è il sintomo di una mancanza dell’essere, quindi non costituisce semplicemente un’operazione mediatica ma l’espressione della patologia che ammorba il corpo sociale. La chiacchiera consolida l’irrilevanza della parola ed insegna che se il pensiero è impotente, il Potere può tutto. Le sue parole sono riproduzione del sistema dominante che governa a mezzo di un perpetuo chiacchiericcio, la cui infondatezza non è un impedimento per la sua diffusione ma anzi un fattore determinante che la favorisce. In fin dei conti, “la chiacchiera è la possibilità di comprendere tutto senza alcuna appropriazione preliminare della cosa da comprendere” (cit. Martin Heidegger, “Essere e tempo. L’essenza del fondamento”).
La chiacchiera forma personalità indifferenti e docili armenti, plebi le quali si disperdono tra i significanti che circolano nel sistema diventando oggetto del Potere . Essa riduce la vità in comunità a mera comunanza, peculiarità tipicamente degli animali, mentre il dialogo è comunità ed è solamente degli esseri umani. Il circo mediatico addestra i popoli all’esercizio della chiacchiera per privarli del pensiero e della prassi politica utopico-rivoluzionaria; esso, senza alcuna distinzione fra destra e sinistra, è oggi sostanzialmente unificato nel suo ruolo di istupidimento passivizzante del corpo sociale. Agenti di influenza (influencers) vengono ingaggiati per deviare l’attenzione dal presente e dalle sue mostruose contraddizioni verso il vuoto della chiacchiera. La regressione verso di essa è strumento massimamente efficace per spingere singoli e gruppi nell’immaginazione pubblicitaria del consumo e del desiderio di consumo illimitato; il disimpegno dal pensiero diviene disimpegno dalla politica, con l’effetto non casuale di legittimare il concentrarsi di ricchezze in oligarchie che gestiscono il discorso pubblico, mentre i popoli plebeizzati rimangono sudditi e precari, in attesa che le briciole cadano dal tavolo dei privilegiati.
L’operazione per giungere alla verità attraverso il dialogo è difficile e provoca resistenze a cui è connessa, oggi, la censura perpetrata dagli agenti di influenza per spingere i dissenzienti politicamente scorretti verso una posizione di invisibilità sociale. Tuttavia, la verità resta e si rivela nel tempo.
Il dialogo non è semplice scambio di significati, ma un incontro integrale dall’esito non prevedibile purché i soggetti che vi partecipano siano disponibili al parlare con franchezza e si dispongano alla possibilità che le loro tesi possono essere contraddette e persino negate. L’esperienza dialogica può avvenire se i soggetti si orientano a lasciare gli ormeggi delle proprie opinioni e, attraversando il mare instabile del confronto, giungere a nuovi porti, a nuove solidità concettuali. L’attività dialogante è comunicazione nell’ascolto che prevede temporalità lunghe e si opera in una cornice amicale. Il dialogo è formazione poiché dinanzi alle resistenze che interiormente possono emergere non si sfugge ma ci si predispone ad ascoltarle con l’intento di conoscere e conoscersi; il dialogo è campo di battaglia, non solo con l’interlocutore ma soprattutto con sé stessi.
DESTRA/SINISTRA
L’irrilevanza della destra e della sinistra è la condizione della commedia politica nell’epoca del capitalismo assoluto. Esso, resosi autonomo da ogni vincolo etico, dissimula dietro immagini, slogan e frasi ad effetto il vuoto progettuale di entrambe gli schieramenti. Il suo fine ultimo, improcratinabile è riformulare la verità sulla natura umana, la quale deve perdere la capacità di calcolare con il pensiero e dunque di tracciare il limite.
La dicotomia fittizia e politicamente corretta destra/sinistra serve ad occultare la dicotomia reale tra oligarchia dominante e democrazia declinante; la realtà va celata neutralizzando le domande che possano far emergere collettivamente la consapevolezza di questa nuova dicotomia. La dicotomia destra/sinistra serve non solo a nascondere l’arroganza oligarchica ma anche l’impossibilità effettiva, da parte dei professionisti della politica, di assumere decisioni sovrane e strategiche. L’unico elemento di empatia che ormai si può riscontrare in loro è l’infantile esibizionismo col quale cercano di conquistare la simpatia e l’approvazione del popolo plebeizzato.
Se la politica è il luogo in cui le opposizioni sono create ad arte per normalizzare il male, destra e sinistra interpretano il ruolo di vestali della tragedia della globalizzazione. L’omologazione tra i due schieramenti favorisce la desertificazione dell’immaginario culturale, poiché il pensiero si muove entro confini angusti che confermano il modello di società attuale. Dinanzi all’impossibilità di sospettare che il presente non sia tutto, si rafforzano comportamenti consumistici e nichilisti, per cui la possibilità di scelta, il libero arbitrio riguarda le merci e le esperienze “consumabili” ma non il destino proprio e della comunità di riferimento; si possono scegliere solo i mezzi per conseguire le finalità consentite dal Potere, compensando con forme di narcisismo esasperato la minaccia confusamente avvertita del nulla che incombe.
Destra e sinistra sono il mezzo mediante il quale il capitalismo assoluto vince ogni liturgia elettorale a prescindere dai risultati dei partiti in competizione, in una perenne opera di riduzione della democrazia a ritualità formale senza sostanza dove si afferma una sorta di dittatura del Centro. Il meno-peggismo ed il male-minorismo, spacciate come teorie politiche, sono in realtà semplici strumenti volti a scongiurare la disoccupazone di ceti politici professionali. Tale omologazione, sintomo di un pensiero stagnante che ha necrotizzato la dialettica, dovrà confrontarsi (e in alcuni casi, già si confronta) con le contraddizioni delle gabbia d’acciaio entro la quale vuole rinchiudere i popoli; presto non sarà possibile aggirare il declino del Pianeta, la proletarizzazione dei ceti medi, lo squallore antropologico e soprattutto l’inaudita concentrazione del potere e delle ricchezze. Mano a mano che le contraddizioni sopite verranno al pettine, l’elaborazione di una alternativa politica, dotata di memoria storica, non sarà rimandabile; salvare la memoria non è infatti un atto neutro ma una scelta che denuncia l’anomia del presente e l’urgenza di una rinnovata progettualità.
Perché la globalizzazione liberalcapitalista non è l’ultima parola della storia e il pensare liberamente è nell’essenza naturale umana.
OLTRE DESTRA/SINISTRA
Oltre destra/sinistra vi è la comunità, dove si afferma il valore d’uso e non quello di scambio. Una rivoluzione che sia metafisica ed ontologica deve partire da una visione integrale dell’essere umano, in modo che ogni possibile riforma economica e politica non divenga preda di regressioni. Solo con l’individuazione del problema primo dell’Occidente liberale, cioé la dimenticanza della sua fondazione ontologica, si può comprendere che la tragedia etica dell’oggi, presuntamente irreversibile secondo i cantori del capitale, esige il coraggio di una metafisica all’altezza dei tempi.
Oltre destra/sinistra va smascherato il ruolo di “puparo” del gioco delle contrapposizioni che il capitalismo assoluto svolge affinché la conflittualità sia orizzontale e non verticale e la vera contrapposizione tra democrazia ed oligarchia sia celata. Se il demos detiene il solo diritto formale al voto, esso non decide ma è vittima delle manovre oligarchiche che neutralizzano la sua capacità decisionale mediante la manipolazione dell’informazione e riducendo la sua educazione a formazione professionale. Le oligarchie dominanti svuotano la democrazia consentendo solo la sopravvivenza dell’istituto giuridico formale in modo da evitare l’emergere del conflitto. Il demos deve agire intervenendo nelle lotte intestine dei dominanti per aprire una breccia che può diventare l’inizio della trasformazione se i dominati hanno gli strumenti per decodificare tali lotte e se ci sono progetti politici alternativi.
Oltre destra/sinistra vi è quello che Costanzo Preve denomina “comunitarismo democratico”, nel quale il soggetto umano non è negato nella sua individualità ma vive lo spirito comunitario nella consapevolezza della sua essenza sociale. Di fronte alla società dei bisogni indotti che non riconosce alcun fondamento comune e atomizza l’individuo nella solitudine, il soggetto umano del comunitarismo democratico definisce i propri bisogni autentici con la mediazione del logos e si emancipa perché scopre che la realtà storica è posta dall’uomo e può quindi essere trasformata. In questo quadro l’economia risponde ai bisogni autentici delle persone liberamente associate e non ha come fine la soddisfazione degli appettiti del Mercato.
Oltre destra/sinistra la religione non è una malformazione della cultura umana ma esprime il bisogno profondo di partecipare ad un comune destino. Se Dio è metafora della comunità, l’ateismo del capitalismo assoluto vorrebbe banalizzare la religione in quanto essa è un residuo di resistenza all’individualismo economicistico. In ambito cristiano Gesù è stato condannato a morte perché voleva riportare misura e giustizia dove vigeva concentrazione oligarchica della ricchezza, rappresentando egli il simbolo all’aspirazione mai sopita all’uguaglianza solidale. Oggi la Chiesa, dopo aver tacitato la portata rivoluzionaria della figura di Gesù, ha visibilità solo se contribuisce alla pacificazione sociale con attività di sostegno agli ultimi. L’avversione al cristianesimo e alle religioni in genere si compie non in nome della libertà ma in quello del capitale, e la secolarizzazione non è il trionfo della razionalità contro l’irrazionalità della fede ma il processo di sostituzione di un clero tradizionale con un nuovo clero mediatico che ha la funzione di legittimare le oligarchie dominanti facendo trionfare i canoni dell’esteriorità e dell’apparenza.
Oltre destra/sinistra il comunitarismo rappresenta una valida alternativa al capitalismo assoluto e globalizzato se non si riduce ad essere un organicismo conformista nel quale la comunità prevale sul soggetto umano a prescindere dal volere e dall’indole di quest’ultimo, con argomenti ambigui che non possono essere accolti da quegli spiriti liberi ai quali bisogna in primo luogo rivolgersi. In questo senso la comunità rappresenta la soglia di interazione tra l’individuo concreto e l’umanità, è il luogo dove si incontrano la libertà e la solidarietà. “Una libertà senza solidarietà è una illusione narcisistica destinata a sparire quando l’umana fragilità materiale costringe anche l’individuo più riluttante a relazionarsi con i suoi simili. Una solidarietà senza libertà è una coazione umanitaria estrinseca…” afferma Costanzo Preve.
Oltre destra/sinistra a fronte dell’uso incontenibile delle reti sociali, il culto dell’immagine e l’idolatria dell’iconico senza contenuto la democrazia comunitaria sostiene il contatto diretto tra i soggetti umani, la tensione tonica degli sguardi e delle parole senza cui la partecipazione è una breve parentesi di scarso significato nello scorrere della quotidianità. La partecipazione diretta rafforza l’unità e la dialettica mentre la distanza della dimensione virtuale struttura relazioni nelle quali più facilmente i soggetti possono sottrarsi alle tensioni ed ai dubbi, facendo venire meno la responsabilità comunitaria e politica. Politica ed etica comunitarie possono affermarsi solo in relazioni partecipate, dove il dialogo neutralizzi eventuali titanismi, narcisismi e forme di nichilismo.
Oltre destra/sinistra il capitalismo assoluto ottunde le masse popolari con il nuovo oppio dei popoli denominato consumismo, mentre la coscienza infelice e la sofferenza vissuta dalle stesse masse sono imprescindibili fonti di ispirazione e presupposti di una progettualità politica comune. L’alienazione è medicalizzata al fine di renderla condizione permanente che si deve imparare a sopportare, adeguandosi ad uno stato di nichilismo passivo. Se il capitalismo assoluto coltiva l’impotenza del soggetto umano, nel nuovo umanesimo auspicato da Costanzo Preve vi è calcolo del limite di ogni bisogno. Di tale umanesimo filosofia, religione, arte e scienza sono fondamenti disinteressati e sganciati dall’ideologia totalitaria dell’utile e del plusvalore, attività permanenti del soggetto umano in quanto essere ad un tempo naturale e sociale.
Oltre destra/sinistra il comunitarismo democratico è la risposta alla reificazione che il capitalismo assoluto fa della natura umana ridotta a semplice entità da utilizzare in funzione del Mercato, in un processo trasversale che riguarda tutti i ceti sociali ai quali si applica un potere omologante che non solo omogeneizza i gusti ma anche passivizza le indoli, causando passioni tristi e debilitanti. Dato che l’essere umano si determina nello spazio e nel tempo, l’illimitato spazio geografico della globalizzazione non consente una partecipazione reale. Al contrario la democrazia comunitaria esige spazi razionalmente gestibili di partecipazione fattuale, altrimenti è solo forma senza sostanza. La partecipazione altresì è indissolubilmente legata all’educazione intesa come veicolo, di lungo percorso, per giungere alla capacità di indagare le ragioni di ogni evento; solo un’educazione libera dai condizionamenti del potere dominante, che non sia confusa con un conformismo imposto dall’alto, può formare la persona sviluppando integralmente le capacità di ognuno. Ogni assetto democratico si misura sulla capacità della comunità, non solo quella scolastica e/o accademica, di essere educante nei confronti dei cittadini suoi membri.
Oltre destra/sinistra il comunitarismo democratico di Costanzo Preve non prevede il superamento dialettico marxiano dello Stato ma anzi il suo rafforzamento, in quanto esso deve farsi garante delle forme mediate con le quali il cittadino partecipa alla comunità. Lo Stato è l’istituzione che permette la difesa e la memoria delle identità culturali e linguistiche, dando nutrimento ad una forma di patriottismo dove per patria si intendono le identità di cui sopra, che non devono essere azzerate per farne invece il collante della comunità e della sua libertà, respingendo ogni tentativo di imporre un dominio ideocratico come l’attuale “ombrello protettivo” statunitense sull’Italia e l’Europa intera.
Destra/sinistra è una dicotomia che sopravvive oggi come finzione e tragicommedia, in un interregno contraddistinto da dosi sempre più massicce di violenza pubblica e privata perché ciò che è vecchio non vuole tramontare; l’inizio di un “mondo nuovo” è possibile solo abbandonando le logiche faziose degli schieramenti e disponendosi a comprendere la necessità della libertà dall’asservimento allo stereotipo.
Il grande limite nella contemporaneità è la diffusa indisponibilità all’impegno, ma ciò non deve costituire una giustificazione all’inazione. Bisogna invece uscire dalle pastoie delle lamentele, ognuno impegnandosi nel limite delle proprie possibilità per costruire una alternativa politica credibile. Con i suoi scritti, rivolti a tutti coloro i quali vogliono evadere dalla cappa dell’anomia, Costanzo Preve ha osato riaprire la catena dei “perché”; i destinatari non possono più essere i cosiddetti militanti ma tutte le persone che vogliono riflettere e comprendere, del tutto indipendentemente da come si collocano o non si collocano nel teatrino politico. L’appartenenza è nulla, e la comprensione è tutto.
Redatto da Federico Roberti, Fronte del Dissenso Emilia Romagna
Il presente saggio è una libera rielaborazione dei contenuti di “Pratica filosofica e politica in Costanzo Preve”, scritto da Salvatore Bravo e pubblicato dall’Editrice Petite Plaisance nel 2021.
NOTE
- [1] “Marx inattuale”, Bollati Boringhieri, Torino 2004, p. 161
- [2] https://menici60d15.wordpress.com/2023/07/10/baruffe-di-corte-i-baroni-della-destra-e-i-mandarini-della-magistratrura/
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