Emanuele Quarta
Avanti.it
La guerra in Ucraina assume sempre di più i contorni di un dejà vu in relazione alle azioni del regime di Kiev e dei suoi criminali esecutori. L’Operazione Speciale iniziata nel febbraio 2022 ha avuto, se non altro, il merito di creare uno squarcio su quel Velo di Maya che via via andava calando sempre più pesantemente sulle vicende della guerra civile ucraina; più ci allontanavamo dai fatti di Euromaidan (2013/2014) più ci siamo dimenticati dei crimini efferati del regime di Kiev contro i russi del Donbass, di Crimea e di Odessa. Sì, la polarizzazione è esplosa (o sei con Kiev o sei con Putin), chi per 8 anni non ha mai saputo nulla del Donbass, improvvisamente si è ritrovato in prima linea – metaforica, è ovvio – nel difendere la sovranità di un popolo “sovrano aggredito da un brutale dittatore”. La teoria “aggressore-aggredito” ha dominato per lunghi tratti irrigidendo il dibattito divenuto schizofrenico nella sua ricerca di qualche grave crimine – vero o inventato non importa – da parte delle truppe russe: allora via con Bucha, i corpi dei civili lungo la strada principale della cittadina che saltano fuori solo dopo una settimana dal ritiro delle truppe russe e il reinsediamento dell’amministrazione ucraina. Insomma, la stampa e la politica italiane sono andate alla ricerca di crimini contro l’umanità quando bastava andare negli archivi online dei quotidiani e delle riviste italiane per trovarvi di tutto. Certo si tratta di crimini commessi dalla parte ucraina, ma se fossimo veramente una democrazia, i Formigli, i Mentana, i Giannini – per citarne tre fra i più odiosi – non avrebbero remore a parlarne, a denunciare e a sensibilizzare; non avrebbero alcun problema ad applicare il principio “aggressore-aggredito” ai loro beniamini ucraini.
Nel corso degli anni ci sono state tante denunce da parte russa di campi di concentramento ucraini costruiti per internare la popolazione russofona considerata “terrorista”. Campi allestiti, negli ultimi mesi, anche per gli stessi ucraini delle regioni del sud-est che si rifiutano di andare a combattere per il cocainomane di Kiev; considerati disertori, se non addirittura spie al soldo del nemico russo, vengono prelevati e portati in questi campi. A denunciarlo è Svobodnajia Gazeta, giornale russo indipendente (non nel senso di dipendente dai finanziamenti di Soros, ma privato, non di stato) che riporta le parole di Yury Barbashov, capo del distretto di Snigirevsky, nella regione di Nikolaev sotto il controllo russo. Barbashov denuncia che “nelle regioni di Mykolaiv, Odessa e Kherson la mobilitazione violenta e forzata ha preso slancio, le persone vengono letteralmente rapite per le strade e coloro che non vogliono combattere con i loro fratelli russi vengono messi in custodia. Sappiamo della formazione di un vero campo di concentramento nella regione di Odessa, dove le persone sono tenute in condizioni carcerarie perché non vogliono imbracciare le armi e morire nella guerra con la Russia da qualche parte vicino a Bakhmut”. Quindi l’Ucraina non sta vincendo, anzi sta reclutando forzatamente uomini e ragazzini per mandarli nella macelleria di Bakhmut; poi Mentana ci fa sapere che per la Gestapo, pardon, l’intelligence di Kiev i russi a Bakhmut combattono con le pale perché a corto di munizioni.
Larisa Sheshler, giornalista russa, dice anche che “per molti le condizioni di detenzione in carcere sono ancora preferibili alla morte quasi certa nei pressi di Bakhmut (Artemovsk). Quindi stanno cercando di creare condizioni ancora peggiori. Questo, ovviamente, non è conforme a nessuna legge, né ucraina né internazionale. Ma l’obiettivo qui non è solo quello di inviare persone specifiche al fronte, ma anche di intimidire il resto. Oggi in Ucraina non vengono rispettati i diritti civili. Le persone che finiscono nei campi sono assolutamente indifese contro la macchina repressiva. Anche se parliamo solo di prigionieri politici, centinaia di migliaia di persone sono detenute nelle carceri ucraine con pretesti inverosimili. Quindi non dovresti contare su appelli all’ufficio del pubblico ministero, ai tribunali o alle organizzazioni per i diritti umani”.
Non è la prima volta che si denuncia l’esistenza di campi di concentramento in Ucraina. Nel paese dei campi di addestramento per bambini – organizzati da Pravy Sektor, organizzazione nazista, e finanziati dal Ministero della cultura sin dal 2015 e raccontati da un reportage del Daily Mail – dove si insegna loro a sparare contro i russi “omini verdi che non sono umani”, non c’è da stupirsi che si costruiscano campi di concentramento per i russi. Già nel 2014, il ministero degli esteri russo denunciò che a Kiev si era approvata una legge che approvava la costruzione di campi di concentramento per i russi; il governo di Kiev rispondeva che si trattavano di campi di internamento – vabbè, si tratta di questioni di lana caprina da glottologi – per gli immigrati irregolari. Da Mosca fecero notare che l’Ucraina non era interessata da alcun fenomeno immigratorio. La cosa cadde nel nulla e fu ripresa solo da alcune testate di “sbufalatori” italiani per smentire le “feicnius” russe. Peccato però che già nel 2014 l’allora ministro della difesa ucraino, Michail Koval disse che erano in costruzione decine di campi di internamento per i russi e tutti i cittadini che appoggiavano i separatisti terroristi. La notizia fu ripresa da L’Espresso nella rubrica “Vento dell’Est” a cura di Nicolai Lilin. Ma non solo, a metterci il carico è la Rand Corporation. Si tratta di una società di consulenza militare e strategica sulle quali si appoggia la Cia e che nel 2014 scrisse un memorandum inviato sia a Kiev sia alla Casa Bianca. Nel memorandum, uscito fuori grazie ad una fonte anonima, la Rand Corporation consigliava Kiev a dar inizio ad “una offensiva generale contro i separatisti del sud-est; tagliare ogni linea di comunicazione, tagliare le forniture elettriche, arrestare tutti i cittadini che si oppongono all’operazione mandandoli in campi di concentramento e uccidere chi oppone resistenza”. La Rand ha sempre smentito l’esistenza di questo memorandum, ma il web non perdona e online è possibile consultare gli articoli che allora fecero scalpore; si tratta di media occidentali, lontani dall’essere accusabili di russofilia o di essere al soldo della propaganda putiniana.
Ma non ci sono solo i report della stampa occidentale a denunciare violenze e campi di concentramento; pure Amnesty International, lungi dall’essere putiniana, nel 2015 pubblicò un report dal titolo inequivocabile: Broken Bodies. Tortures and summary killings in south-estern Ukraine. Amnesty riporta varie storie, tra le quali quella di tre uomini “Igor Bedniy, 45 anni, Alexander Pinchuk, 45 anni, e Andrei Merzlik, età 39—stavano tornando da un cantiere nel tardo pomeriggio del 12 novembre 2014 quando hanno sono stati fermati a un posto di blocco militare ucraino. Il checkpoint era situato nella strategica città di Volnovakha, direttamente in prima linea nel territorio controllato da Kiev. Era presidiato da combattenti di Pravy Sektor e del Battaglione Dnipro 2, come indicato dalle toppe sulle spalle degli uomini, i contrassegni sui loro veicoli e una bandiera nera e rossa in mostra”. Insomma, i tre furono arrestati senza alcuna accusa, portati alla caserma del SBU e torturati, con calci, pugni, strangolati e simulazioni di annegamento. Il tutto mentre erano legati e bendati.
E infine come non ricordare la legge approvata dal parlamento ucraino nel novembre del 2020 che autorizza gli arresti senza formale accusa penale di tutti i russi e russofoni, accusati di essere terroristi; la legge poi introduce la possibilità per gli agenti del SBU di decidere, così ex iure imperio, chi è innocente e chi no sulla base di una valutazione tutta personale. I colpevoli, poi, vengono spediti in treno nei campi di prigionia in Nikolaev. Dietro questo crimine poi, la nota di colore ce la mette l’UE. I gerarchi di Kiev erano preoccupati che una legge del genere fosse incompatibile con il diritto europeo e inviarono il testo al Comitato per l’integrazione dell’Ucraina nell’Unione Europea che, vagliando la legge, dà parere positivo poiché tali misure “sono previste dalla Convenzione sulla protezione dei civili in tempo di guerra del 12/08/1949 e dalle integrazioni alla Convenzione di Ginevra del 1977”, ammettendo implicitamente che l’Ucraina era già uno stato in guerra prima ancora dell’invasione russa.
I fatti hanno la testa dura. E per quanto la censura provi a nascondere la verità – ad esempio Google ha rimosso tutte le fonti che vedete riportate – per fortuna al di là della cortina di menzogne occidentali esistono strumenti di libertà che noi servi sciocchi non riusciamo nemmeno ad immaginare, che ci permettono di ricercare i raggi di luce in fondo al tunnel.
DANILO TORRESAN dice
INTERESSANTE !!!!