Negli ultimi giorni sta registrandosi un’intensa attività del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che a colpi di comunicati svela la vera essenza di certi apparati dello Stato.
Sulla situazione in cui versa Alfredo Cospito, anarchico in sciopero della fame dallo scorso ottobre, il dipartimento comunica a Flavio Rossi Albertini, suo avvocato difensore, che il detenuto è “stabile e tranquillo”. Risposta, quella di cui sopra, alla richiesta del legale di accorciare i tempi dell’udienza, fissata per il 20 di aprile, che affronterà il ricorso relativo alla decisione di applicare il carcere duro nei confronti di Cospito. Secondo l’avvocato Albertini i tempi non sarebbero compatibili con lo stato di salute del detenuto, ma che un digiuno prolungato comporti delle conseguenze pare sia un’ovvietà per chiunque escluso il Dap.
Curiosa la doppia natura delle note che quest’ultimo partorisce: è recentissima la diffida dell’amministrazione penitenziaria alla cardiologa di Cospito dal rilasciare dichiarazioni sul suo stato di salute a Radio Onda D’Urto, con annessa la minaccia di negare ulteriori autorizzazioni per le visite; segue poi il comunicato ufficiale, dai toni distesi e rassicuranti, in cui si rende noto che il detenuto è costantemente monitorato dal suo cardiologo di fiducia e da quello dell’ASL di Sassari, e usufruisce regolarmente dei passeggi che gli sono concessi – durante i quali Cospito lamenta di non veder crescere nemmeno un filo d’erba. Ragioni bastevoli per negare la necessità del trasferimento in un carcere con centro clinico.
Vero è che la Cassazione, fissando l’udienza per il 20 aprile, ha rispettato le normali tempistiche previste per i ricorsi, ma se si ha la smania dell’essere ligi nell’osservanza del nero messo sul bianco bisognerebbe anche ricordarsi che la nostra blasonata Costituzione prevede che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità.
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