Contrariamente a quanto promesso nella passata corsa elettorale, Joe Biden ha recentemente dato il via libera a ConocoPhillips per un enorme progetto di trivellazione petrolifera in tre siti della National Petroleum Reserve nel nord dell’Alaska.
L’intero progetto, conosciuto come “Willow project”, era stato approvato da Trump nel 2020 ma incontrò le resistenze di un giudice federale dell’Alaska che lo stoppò per degli errori sull’analisi ambientale. I gruppi ambientalisti avevano esortato il presidente Joe Biden a respingere il progetto e hanno intentato causa presso il tribunale distrettuale degli Stati Uniti, accusando il Dipartimento dell’Interno e altre agenzie di aver violato il National Environmental Policy Act, l’Endangered Species Act e altre leggi che sarebbero in contrasto con l’attualizzazione del progetto.
Mike Scott, uno dei denuncianti, ha affermato che “il massiccio progetto di petrolio e gas di ConocoPhillips rappresenta una vera minaccia per la fauna selvatica, gli ecosistemi e le comunità dell’Alaska artica”, e ha aggiunto che il Willow project rappresenterebbe un disastro per il clima con effetti che potrebbero protrarsi per decenni.
Il senatore dell’Alaska Dan Sullivan minimizza questi sforzi legali e si dice pronto a difendere il piano di trivellazioni dai tentativi di ucciderlo. A salvaguardia del progetto anche i legislatori dell’Alaska, che vedono nel Willow project l’opportunità della creazione di migliaia di posti di lavoro e contributo all’indipendenza energetica degli Stati Uniti. Il progetto aggiungerà 239 milioni di tonnellate di emissioni di carbonio all’atmosfera nei prossimi 30 anni, secondo i calcoli del Dipartimento dell’Interno, equivalenti alle emissioni annuali di 64 centrali elettriche a carbone. L’amministrazione Biden si difende dalle accuse degli ambientalisti sostenendo di non aver potuto bloccare il progetto poiché ConocoPhillips ha in locazione il terreno, ma che la nuova versione del Willow project è “ridotta” rispetto al progetto iniziale della società, che aveva l’intenzione di costruire chilometri di oleodotti, cinque pozzi e sette ponti, mentre nella versione sottoscritta da Biden si parla “solo” di tre pozzi.
Ecco dunque come i mirabolanti annunci di lotta “al cambiamento climatico”, di riduzione della CO2 nell’aria e altre amenità della nuova era emergenziale legata al clima, si infrangono dinanzi alla sete degli Stati Uniti di idrocarburi; una sete famelica che finora è stata in qualche modo placata con la rapina del petrolio siriano tramite la l’ISIS – creatura americana, non dimentichiamolo – ma che non basta per soddisfare il fabbisogno interno. Se uniamo poi le sanzioni al petrolio russo che rendono l’Europa dipendente dalle esportazioni statunitensi, a Washington hanno bisogno di altro petrolio da vendere a caro prezzo agli europei, in particolar modo alla Germania.
Come con la salute, sottomessa ai miliardari profitti di Big Pharma, anche l’ambiente risponde a logiche di dominio geopolitico ed economico. Alla faccia di Greta Thunberg.
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