Domenica scorsa a San Pietroburgo un attentato dinamitardo ha ucciso il blogger ed ex combattente Vladen Tatarsky – pseudonimo di Maxim Fomin – mentre si trovava presso un caffè della città. Secondo le ricostruzioni dell’FSB, l’ordigno era contenuto in una statuetta che gli era stata consegnata da una donna dopo un convegno a cui aveva partecipato Tatarsky come ospite principale. Oltre alla morte di Tatarsky, l’esplosione ha causato 30 feriti, di cui alcuni gravi.
La donna, ripresa dalle telecamere di sicurezza del locale e da numerosi video rilasciati in rete da molti civili, è stata individuata ed arrestata poche ore dopo. Il suo nome è Darya Trepova, 26 anni, attivista no-war russa e probabilmente vicina ad ambienti radicali dell’opposizione russa – vicina a Navalny, per intenderci – che avrebbe consegnato la statuetta allo stesso Tatarsky personalmente. In queste ore l’FSB ha rilasciato un breve video in cui la ragazza, sollecitata dalle domande degli agenti, mostra di essere consapevole di quel che ha fatto; e quando le viene chiesto chi le ha ordinato di farlo, la Trepova risponde laconicamente “posso dirvelo dopo?”, lasciando intendere di non voler raccontare nulla dinanzi le telecamere.
L’attentato a Tatarsky è il secondo colpo contro personalità importanti e vicine agli ambienti militari e politici russi, dopo quello che ha ucciso Darya Dugina lo scorso inverno e che ha causato attriti tra Kiev e Washington tanto da far pensare a un’incrinatura nell’alleanza, oltre alle strane morti di dirigenti e generali. Tatarsky, al secolo Maxim Fomin, era un ucraino della regione di Donetsk che sin dal 2014 aveva appoggiato e combattuto per le repubbliche separatiste del Donbass. Era vicino e molto amico Yevgeny Prigozhin, comandante di Wagner e considerato un falco, uno degli esponenti dell’ala oltranzista che non ha mai nascosto di essere in contrasto con la linea del presidente Putin, considerato troppo morbido. E sulla base delle sue posizioni, le ipotesi sui mandanti sono molteplici. FSB e governo hanno da subito puntato il dito contro “il regime terroristico di Kiev” che, ovviamente, ha subito smentito ogni responsabilità anche se, per bocca di Mykhailo Podolyak, consigliere presidenziale di Zelensky, ha mostrato soddisfazione perché “prima o poi la Russia sarebbe stata colpita da quello che i russi chiamano terrorismo interno”. Denis Pushilin, capo della repubblica di Donetsk, non ha mai avuto dubbi sulle responsabilità di Kiev, “un regime terroristico pericoloso che deve essere distrutto per essere fermato”.
Ma per molti, in realtà, dietro la morte di Tatarsky si nasconderebbe quello che generalmente viene chiamato un inside job. Resta da capire chi avrebbe potuto volere la morte di Tatasrky. Secondo i media occidentali, che quando conviene alla propaganda nostrana diventano abili complottisti, Tatarsky potrebbe essere stato ucciso su ordine di Putin perché ha osato criticarlo più volte in pubblico – critiche comunque mai emerse perché piuttosto Tatarsky spingeva per un approccio più aggressivo; oppure l’attentato potrebbe essere stato organizzato dai cosiddetti falchi del Cremlino per forzare la mano di Putin ad adottare un approccio militare e diplomatico più aggressivo contro il regime di Kiev.
Ad oggi però sono soltanto speculazioni.
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